Macerata , lunedì, 29. maggio, 2017 18:00 (ACI Stampa).
Agape, economia, bene comune. Ne ha parlato a Macerata Luigino Bruni,docente di economia politica alla Lumsa di Roma, in un incontro organizzato dalla diocesi.
Anche l’economia è linguaggio e come tale ha un suo lessico e una sua grammatica. Niente di strano fin qui, se non che questa grammatica e le parole che la riempiono, tra le quali innovazione, efficienza, meritocrazia, stanno invadendo ogni altro campo dell’esperienza umana, con la conseguenza di impoverire ogni grammatica e cultura alternativa.
Il risultato di questo processo, che testimonia una distorsione semantica potente, è l’occupazione del nostro tempo da parte della cultura delle grandi imprese, che ormai descrive tutte le storie individuali e collettive, e produce una nuova ideologia che, a differenza di quanto è avvenuto nel XX secolo ‘non incontra vere resistenze, semplicemente perché presentata come tecnica, strumento eticamente neutrale, e in quanto tale di applicazione universale’. In questo senso la vita buona, cioè il benessere, comporta che anche l’economia civile ha una sua dimensione fondante nella gratuità, che riporta all’esperienza agapica. Perché - ha affermato Bruni - "l’agape è una forma di amore che fa la sua comparsa proprio con il cristianesimo”.
Ma quali rapporti ci sono tra l’agape, l’economia ed il bene comune?
La tradizione italiana della ‘pubblica felicità’ concepiva l’economia in vista del bene comune. Il bene pubblico, che corrisponde all’inglese ‘common’ (bene collettivo) è un rapporto diretto tra gli individui e il bene consumato. Il bene comune è esattamente il contrario: è un rapporto diretto tra persone, mediato dall’uso dei beni in comune. Nella Dottrina Sociale della Chiesa il bene comune è inteso come la ‘dimensione sociale e comunitaria del bene morale’, e per questo è ‘indivisibile perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo’, come afferma il n^ 164 del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. Nella definizione moderna di ‘bene comune’ l’agape è stata accantonata, relegandola, da una parte, alla sfera privata della famiglia; dall’altra è stata affidata allo Stato attraverso il welfare state, oppure, nella cultura anglosassone, alla filantropia. Due forme pubbliche che hanno raccolto solo una parte della ricchezza della dimensione dell’amore agapico. Per questo sono convinto che una sfida della civiltà è quella di riportare la forma dell’agape al centro della vita della città.