Fontem , venerdì, 26. maggio, 2017 16:00 (ACI Stampa).
"Sono costretto ad avere una scorta armata di almeno due persone, specie quando mi reco a visitare le aree più vicine al confine nigeriano. Non è stato facile abituarsi, ma è l’unico modo per rimanere qui".
Così fratel Fabio Mussi racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre la sua quotidianità nel nord del Camerun. Il missionario del Pime e coordinatore della Caritas nella diocesi di Yagoua, riferisce di come la situazione si sia aggravata a partire dal 2014, quando le violenze di Boko Haram hanno varcato il confine con la vicina Nigeria. "Abbiamo avuto diversi attacchi, specie tra il 2015 e il 2016, e le violenze hanno causato un alto numero di sfollati interni".
Oltre agli attentati kamikaze, la strategia del terrore di Boko Haram in Camerun include numerosi rapimenti, come quello avvenuto nel 2014 ai danni dei sacerdoti italiani don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri e della religiosa canadese Gilberte Bussier. "Noi missionari siamo i più a rischio – spiega fratel Mussi - perché siamo gli unici stranieri rimasti in questa regione. La Chiesa in Camerun è sempre rimasta presente, anche quando le altre realtà assistenziali si sono ritirate".
La Caritas di Yagoua si è presa cura sin da subito dei rifugiati nigeriani e degli sfollati interni camerunensi in fuga dalle violenze di Boko Haram. Al tempo stesso è grande l’attenzione della Chiesa locale all’educazione: il più efficace freno al reclutamento dei giovani da parte dei fondamentalisti. «In passato diversi ragazzi si sono ritrovati sulla strada a causa delle chiusura delle scuole – afferma il missionario – e si sono lasciati convincere dalle proposte economicamente allentanti degli estremisti». Oltre a gestire numerose scuole cattoliche, la Chiesa è infatti impegnata nel favorire la riapertura delle tante scuole chiuse a causa della violenza islamista. Tra il 2015 e il 2016 ne sono state chiuse 124, lasciando a casa oltre 66mila studenti. Nel frattempo le aule sono state occupate dai militari o dagli sfollati e gravemente danneggiate, ed oggi la Chiesa sta cercando di renderle nuovamente agibili.
"La testimonianza di fratel Mussi dimostra ancora una volta come la Chiesa in Africa sia spesso l’unica al fianco della popolazione e la prima a rispondere concretamente al fondamentalismo - nota il direttore di ACS-Italia, Alessandro Monteduro – Ma non può farlo senza il nostro sostegno".