Carpi , domenica, 14. maggio, 2017 10:00 (ACI Stampa).
Le parole di Gesù che abbiamo ascoltato nel brano di Vangelo sono state enunciate nel cenacolo il giovedì santo, durante l’ultima Cena.
Il contesto nel quale Cristo le pronuncia è drammatico: ha appena rivelato il nome di colui che lo tradirà e questi si è allontanato nella notte, poi annuncia la sua “partenza” e precisa che i suoi amici non potranno seguirlo ed infine predice il rinnegamento di Pietro. I discepoli sono angosciati e terrorizzati perché percepiscono che gli eventi annunciati da Gesù avranno conseguenze drammatiche per la vita del loro Maestro e per lo stessi.
Gesù, sempre colmo di attenzioni e di premure verso i suoi, per aiutarli ad affrontare con serenità e fiducia i futuri avvenimenti, li invita a volgere i loro occhi e il loro cuore su Dio e su di Lui: Abbiate fede in Dio e abbiate fede in me. Gesù, in altre parole, chiede ai suoi discepoli di avere verso di Lui la stessa fede che hanno nei confronti di Dio. Ma chi è costui per avere il coraggio di parlare in questo modo? Come può farsi simile a Dio?
Gesù nella sua vita terrena ha sempre parlato del Padre suo che è nei cieli. Egli afferma che suo cibo è fare la volontà del Padre e dichiara senza ambiguità la sua origine divina. Per questo motivo quando parla della sua morte la presenta e la considera sempre come un “ritorno a casa”, dove Qualcuno che Egli ama e dal quale si sente amato lo attende. Il Padre appunto, di cui ha assoluta consapevolezza di essere Figlio e quindi di partecipare della sua stessa natura divina.
Per questo motivo le parole che Egli rivolge ai suoi discepoli sono parole di una tenerezza incredibile, in quanto manifestazione dello stesso amore che il Padre nutre per Lui. Egli dice loro che va a preparare un posto e poi tornerà a prenderli con sé perché ha un solo desiderio: “dove sono io, siate anche voi”. Ci viene svelato il vero volto di Dio. Dio, che è il Totalmente diverso da noi, l’inaccessibile è anche il Dio vicino, è un Padre che nell’Unigenito suo Figlio si fa carico delle nostre angosce e sofferenze, ci consola con la sua amicizia fino a desiderare di renderci partecipi delle sue prerogative divine. La meta dell’umano, allora, non è nell’umano, ma in Dio. Il cristiano non è uno spaesato, un vagabondo privo di meta.