Ripartire dall’Egitto, dunque. Terrà di civiltà e terrà di alleanza. Terra da cui cominciare a puntare tutto sulla civiltà dell’incontro piuttosto che sull’inciviltà del conflitto. Terra di antica sapienza, che è il primo passo per la pace. Ed è significativo che il Papa delinei tutto questo di fronte all’Università di al Azhar.
Nel suo discorso, il Papa ricorda l’Egitto come terra la cui cultura, cresciuta sulle sponde del Nilo, è stata sinonimo di “civilizzazione”, perché l’Egitto ha dato luce a “un inestimabile eredità culturale”, generata anche dalla ricerca di cultura e da una educazione elevatissima.
La sapienza è una delle caratteristiche dell’Egitto, perché questa fa superare la tentazione di irrigidirsi”, è “aperta e in movimento”, “umile e indagatrice”, valorizza il passato e dialoga con il presente, evita le prevaricazioni e non si stanca mai di cercare ogni occasione di incontro, ponendo sempre al centro la dignità dell’uomo.
La sapienza porta il dialogo, e allora ci vuole educazione al dialogo “perché l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è l’inciviltà dello scontro”, e perché “per contrastare veramente la barbarie di chi soffia sull’odio e incita alla violenza, occorre accompagnare e far maturare generazioni che rispondano alla logica incendiaria del male con la paziente crescita del bene: giovani che, come alberi ben piantati, siano radicati nel terreno della storia e, crescendo verso l’Alto e accanto agli altri, trasformino ogni giorno l’aria inquinata dell’odio nell’ossigeno della fraternità”.
Il Papa sottolinea che a questo impegno sono chiamati cristiani e musulmani ericorda che in Egitto fedi diverse si sono mescolate da sempre.
L'Egitto non è, insomma, solo terra di sapienza, ma anche terra di Alleanza. E il simbolo di questa alleanza è il Sinai, che ricorda – dice il Papa – “che un’autentica alleanza sulla terra non può prescindere dal Cielo, che l’umanità non può proporsi di incontrarsi in pace escludendo Dio dall’orizzonte, e nemmeno può salire sul monte per impadronirsi di Dio”
È un messaggio “attuale”, che risponde al paradosso di chi da una parte “relega la religione nella sfera privata” e dall’altra si confonde “la sfera religiosa da quella politica”, con il rischio che “la religione venga assorbita dalla gestione di affari temporali e tentata dalle lusinghe di poteri mondani che in realtà la strumentalizzano”.
Il Papa sottolinea che in un mondo sempre più veloce, pieno di strumenti tecnici, c’è “la nostalgia delle grandi domande di senso che le religioni fanno affiorare e che suscitano la memoria delle proprie origini”, perché è nella vocazione dell’uomo “non esaurirsi negli affari terreni”, ma piuttosto “incamminarsi verso l’Assoluto cui tende”.
E dunque la religione “non è un problema, ma è parte della soluzione”, perché è necessario “elevare l’animo verso l’Alto per imparare a costruire la città degli uomini”, e il modello è ancora il Sinai sul quale vennero consegnate le tavole della legge.
Ricorda il Papa che “Dio, amante della vita, non cessa di amare l’uomo e per questo lo esorta a contrastare la via della violenza, quale presupposto fondamentale di ogni alleanza sulla terra”. E sono le religioni ad essere chiamate “ad attuare questo imperativo” perché “la violenza, infatti, è la negazione di ogni autentica religiosità”.
Da qui l’appello ai leader religiosi, con la consapevolezza che “solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome”.
Il Papa chiede di ripetere un “no forte e chiaro” ad ogni “forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della religione o in nome di Dio. Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica”.
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Perché – dice il Papa - la fede che non nasce da un cuore sincero e da un amore autentico verso Dio Misericordioso è una forma di adesione convenzionale o sociale che non libera l’uomo ma lo schiaccia”.
La religione – dice il Papa – non è solo chiamata a smascherare il male, ma a “promuovere la pace”, senza cedere a “sincretismi concilianti” con il compito di “pregare gli uni per gli altri domandando a Dio il dono della pace, incontrarci, dialogare e promuovere la concordia in spirito di collaborazione e amicizia”.
Di fronte a un mondo in guerra, il Papa ricorda che “a poco o nulla serve infatti alzare la voce e correre a riarmarsi per proteggersi: oggi c’è bisogno di costruttori di pace, non di provocatori di conflitti; di pompieri e non di incendiari; di predicatori di riconciliazione e non di banditori di distruzione.”
Denuncia il Papa: “Si assiste con sconcerto al fatto che, mentre da una parte ci si allontana dalla realtà dei popoli, in nome di obiettivi che non guardano in faccia a nessuno, dall’altra, per reazione, insorgono populismi demagogici, che certo non aiutano a consolidare la pace e la stabilità”.
Ma – aggiunge – “nessun incitamento violento garantirà la pace, ed ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza”.
Il Papa ricorda che, per la pace, ci si deve anche adoperare per “rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono, e bloccare i flussi di denaro e di armi verso chi fomenta la violenza”, e di bloccare “la proliferazione di armi che, se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate”.