Città del Vaticano , venerdì, 14. aprile, 2017 18:07 (ACI Stampa).
L’immagine del Papa prostrato dinanzi alla Croce apre la celebrazione della Passione del Signore. Nel pomeriggio del Venerdì Santo, nella Basilica Vaticana, è il Papa a guidare la liturgia, ma è il predicatore della Casa Pontificia, Padre Raniero Cantalamessa, ad offrire una riflessione.
Il racconto della Passione è quello secondo Giovanni. “E’ il racconto di una morte violenta – commenta il predicatore nell’omelia - Notizie di morti, e di morti violente, non mancano quasi mai dai notiziari serali”.
Il frate cappuccino ricorda quella dei 38 cristiani copti uccisi in Egitto la domenica delle Palme e quella dei bimbi siriani uccisi dalle armi chimiche. “Queste notizie – prosegue - si susseguono con tale rapidità da farci dimenticare ogni sera quelle del giorno prima. Perché allora, dopo 2000 anni, il mondo ricorda ancora, come fosse avvenuta ieri, la morte di Cristo? È che questa morte ha cambiato per sempre il volto della morte; essa ha dato un senso nuovo alla morte di ogni essere umano”.
Padre Cantalamessa analizza questa domanda. “Esiste ormai – osserva - dentro la Trinità e dentro il mondo, un cuore umano che pulsa, non solo metaforicamente, ma realmente. Se Cristo, infatti, è risorto da morte, anche il suo cuore è risorto da morte; esso vive, come tutto il resto del suo corpo, in una dimensione diversa da prima, reale, anche se mistica”. Al cuore che pulsa si contrappone il “cuore di tenebra”, “il colmo della malvagità che può ammassarsi in seno all’umanità”.
Padre Cantalamessa prova poi a spiegare il significato dell’emblema della giornata che viviamo oggi: la croce. “Essa è il “No” definitivo e irreversibile di Dio alla violenza, all’ingiustizia, all’odio, alla menzogna, a tutto quello che chiamiamo “il male”; ed è contemporaneamente il “Si” altrettanto irreversibile all’amore, alla verità, al bene. “No” al peccato, “Si” al peccatore. È quello che Gesú ha praticato in tutta la sua vita e che ora consacra definitivamente con la sua morte”. Per il predicatore “la croce non “sta” dunque contro il mondo, ma per il mondo: per dare un senso a tutta la sofferenza che c’è stata, c’è e ci sarà nella storia umana. La croce è la proclamazione vivente che la vittoria finale non è di chi trionfa sugli altri, ma di chi trionfa su se stesso; non di chi fa soffrire, ma di chi soffre”.