Come è stato forte il tema ecumenico nel viaggio in Lituania, Lettonia ed Estonia che Papa Francesco ha compiuto dal 22 al 25 settembre 2018, dove tra il dipinto originale della Divina Misericordia e il lavoro costante di dialogo ecumenico tra cattolici e protestanti Papa Francesco ha potuto scoprire la fede di quella che fu proclamata “Terra Mariana”. Così come fu ecumenico il viaggio in Svezia del 31 ottobre – 1 novembre 2016, quando Papa Francesco andò a commemorare i 500 anni della Riforma Protestante, ma anche a creare nuove forme di dialogo e comunione.
Ed è stato un pellegrinaggio ecumenico quello che ha portato Papa Francesco a Ginevra il 21 giugno 2018, mentre l’ecumenismo è stato chiave della pace nell’incontro che Papa Francesco ha promosso a Bari il 7 luglio 2018.
Infine, sono stati viaggi ecumenici, in Paesi a maggioranza ortodossa, quelli che hanno visto Papa Francesco toccare Bulgaria e Macedonia del Nord dal 5 al 7 maggio 2019 e poi la Romania dal 31 maggio al 2 giugno 2019. Ed è stato ecumenico il viaggio in Cipro e Grecia dal 2 al 6 dicembre 2021, come quello in Kazakhstan del 13 – 15 settembre 2022, in realtà dedicato maggiormente al dialogo interreligioso.
Ma sono viaggi ecumenici perché sviluppano anche un tema caro a Papa Francesco: quello dell’ecumenismo del sangue, l’unione tra confessioni cristiane per il solo fatto di aver versato il sangue del Cristo. È il tema che ricorre durante il viaggio in Egitto, durante il viaggio in Armenia, nel giugno 2016, ma che è ben presente durante il viaggio in Africa del novembre 2015, e in particolare nella tappa in Uganda, lì dove cristiani ed anglicani sono stati martirizzati insieme. È rimasta incompiuta l’idea di un viaggio in Sud Sudan, anche questo da fare in maniera ecumenica, stavolta in compagnia dell’arcivescovo Justin Welby, primate anglicano.
Quelli di Papa Francesco sono viaggi ecumenici anche perché creano le occasioni di un incontro. Come la tappa a Cuba, a marzo 2016, nella rotta verso il Messico. Una tappa fatta e voluta solo per poter incontrare il Patriarca Kirill, capo del Patriarcato Ortodosso di Mosca. È il primo incontra tra il Papa e un Patriarca ortodosso nella storia, dopo che per anni si era provato, senza successo, prima sotto Giovanni Paolo II e poi sotto Benedetto XVI. Ma il dialogo è un dialogo “pastorale” come “pastorale” è il comunicato congiunto finale, ci tiene subito a spiegare Papa Francesco. Segno che per lui l’incontro viene prima della teologia e del dialogo sui principi. Prima il fare, poi il resto, secondo l’adagio che “la realtà è più grande della teoria” contenuto nell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, che più volte il Papa ha definito documento programmatico.
Secondo criterio: andare alle periferie. Papa Francesco ha viaggiato in Europa, ma toccando di rado l’Unione Europea. Le eccezioni sono state l’Ungheria, dove è andato per la prima volta nella sola Budapest per il Congresso Eucaristico Internazionale ed è tornato dal 28 al 30 aprile 2023, e la Slovacchia, visitata per tre giorni nel 2022.
È stato in Armenia, Georgia e Azerbaijan, lì dove continente europeo e continente asiatico si toccano. È stato in Albania a settembre 2014, lì dove l’ateismo di Stato aveva cancellato ogni traccia della religione, e lo ha accolto una strada costellata dalle immagini dei martiri. È stato in Corea del Sud ad Agosto 2014, nella nazione asiatica che fu evangelizzata da laici. È stato nel gennaio 2015 nello Sri Lanka del dialogo sempre difficile, nelle Filippine dalla fede fortissima ( dove ha celebrato una Messa cui hanno partecipato almeno un milione di persone) nelle pieghe incerte di una vita difficile e di una politica violenta, nel Myanmar dove si vive il dramma nascosto dei cristiani perseguitati e non solo quello dei Rohingya, nel Bangladesh ferito dagli attacchi di Dhaka. È stato a giugno 2015 a Sarajevo, la città ferita dalla guerra, a promuovere ancora una volta la sua cultura dell’incontro. E poi, nel suo Sudamerica, ha viaggiato tra Ecuador, Bolivia e Paraguay, ha fatto due tappe a Cuba ed ha svolto un viaggio in Colombia per confermare nella speranza nel settembre 2017 e un viaggio in Cile e Perù nel gennaio 2018. Ma non va dimenticato il viaggio, agognato, in Sud Sudan, anche quello un viaggio ecumenico, svolto insieme al moderatore della Chiesa di Scozia e all’arcivescovo di Canterbury. In Sud Sudan ci era arrivato dalla Repubblica Democratica del Congo, lì dove c’è stato l’incontro forse più intenso del pontificato, quello con le vittime della guerra civile.
Particolarissimo il viaggio in Thailandia e Giappone del novembre 2019: da una parte, una nazione dove i cattolici sono minoranza, ma dove comunque il dialogo è florido è dunque c’è bisogno di dare forza alla fede; dall’altra, un luogo da dove far ripartire il no alle armi nucleari, fortissimo, ma anche da dove far ripartire la fede, perché i cattolici giapponesi sono stati anche i cattolici del periodo del silenzio.
Ci sono, poi, due posti che sono stati un crocevia importante per Papa Francesco: Bari e Cuba.
A Bari, Papa Francesco è tornato il 23 febbraio 2020, per parlare ai vescovi del Mediterraneo e lanciare un messaggio affinché il mare nostrum non sia più un cimitero, ma un luogo di pace.
Cuba paradossalmente è diventata il luogo di due dei successi più importanti del pontificato: l’incontro con Kirill, ma anche il luogo da cui arrivare negli Stati Uniti, a simboleggiare quella riapertura delle relazioni diplomatiche di cui la Santa Sede si è fatta facilitatore. E lo ha potuto fare in nome dei 75 anni di relazioni diplomatiche ininterrotte con la isla e in nome del grande lavoro fatto nei tempi passati. Niente nella Chiesa accade all’improvviso, tutto è frutto di un lungo lavoro.
Così, dai viaggi si arriva a capire il lavoro diplomatico. Cuba è il segno di un nuovo impulso alle mediazioni pontificie, che hanno operato dinché è stato possibile in Venezuela su diretta richiesta delle parti in causa, ma anche nei difficili rapporti con la Cina. A Pechino si è guardato con insistenza, facendo scelte che ad alcuni hanno ricordato la Ostpolitik, come l’apertura, sulle nomine dei vescovi che nessuno in Vaticano ha mai visto come un buon accordo possibile, ma di certo il migliore possibile per far ripartire la Chiesa, e che si è concretizzata con un accordo provvisorio ancora tutto da decifrare, è stato rinnovato, ha avuto dei problemi strutturali, ma che, è stato chiarito, vuole mantenere la libertà di coscienza dei vescovi.
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Lo sguardo diplomatico di Francesco si è posato su Pechino e su Mosca, mete mai toccate da un Papa. Ma si è posato anche sull’Ucraina, con Kiev sempre come obiettivo possibile di un viaggio (ma non fino a quando ci sarà il dibattito tra le Chiese ortodosse), sull’Iraq dove a Natale 2018 è stato anche il Cardinale Pietro Parolin, e sulla martoriata Siria, cui il Papa ha regalato un nunzio cardinale.
La Siria è l’esempio della “diplomazia della preghiera” di Papa Francesco, perché fu per la situazione in Siria che Papa Francesco, nel settembre 2013, proclamò una giornata di digiuno e di preghiera per la Siria e per il Medio Oriente. E un’altra preghiera, quella per la pace nei Giardini Vaticani del giugno 2014, è stata usata come grimaldello diplomatico per cercare di creare un punto di incontro.
Nella visione di Papa Francesco, le religioni devono incontrarsi per creare bene comune, il dialogo interreligioso è parte della diplomazia. E si leggono in questa chiave le restaurate relazioni con l’Università al Azhar del Cairo, tra i maggiori centri dell’Islam sunnita. Durante il viaggio in Egitto, il Papa ha partecipato alla Conferenza Internazionale della Pace organizzata dalla stessa istituzione, e ha ribadito ancora una volta che non può esserci violenza in nome di Dio. Da qui, anche la decisione di recarsi negli Emirati Arabi Uniti, dal 3 al 5 febbraio 2019, così come quella di andare in Marocco, il 30 e 31 marzo 2019. Ad Abu Dhabi, poi, ha firmato con il Grande Imam di Al Azhar Ahmed al Tayyb una dichiarazione sulla Fratellanza Umana che è diventata linea guida diplomatica, tanto che il Papa ne ha regalato una copia a tutti i capi di Stato che gli hanno fatto visita.
Una linea guida diplomatica, quella della Dichiarazione sulla Fraternità, che è stata ben presente nel viaggio di Papa Francesco in Iraq dal 5 all’8 marzo 2021, che ha avuto come momento culminante l’incontro con il Grande Ayatollah al Sistani e quello con le altre religioni alla Piana di Ur (ma senza rappresentanti ebrei, cosa che è sembrata forse una eccessiva prudenza diplomatica). Primo effetto del viaggio, la proclamazione di una Giornata Nazionale della Coesistenza. Ed è stata una dichiarazione presente nel viaggio di Papa Francesco in Bahrein del 3-6 novembre 2022, viaggio durante il quale il Papa ha anche inaugurato la cattedrale di Nostra Signora di Arabia.
Va letto in questa chiave anche il progetto – poi abortito – di una visita alla moschea di Roma, così come il dialogo con i fratelli ebrei propiziato dal suo amico di sempre, il rabbino Abraham Skorka, che ha visto diverse personalità del mondo giudaico presentarsi davanti a Papa Francesco, e che ha avuto il culmine nella visita di Papa Francesco presso la sinagoga di Roma il 17 gennaio 2016.
Un tema, quello della fraternità, che è sfociato in una enciclica, la Fratelli Tutti, sviluppata durante la pandemia e ora diventata parte degli strumenti diplomatici della Santa Sede e presentata il 15 aprile 2021 ad un evento di Alto Livello presso le Nazioni Unite.