Matera , martedì, 28. febbraio, 2017 16:00 (ACI Stampa).
“Carissimi, ci apprestiamo a vivere un periodo dell’anno che, nel ‘gergo liturgico’, chiamiamo ‘forte’: la Quaresima! Sono quaranta giorni duranti i quali l’invito pressante della Parola ci chiede di fare una seria revisione della nostra vita: tempo che definiamo di ‘conversione’.
In parole semplici significa ‘tornare a Dio’ per celebrare e vivere la vittoria di Cristo sulla morte, su ogni tipo di morte: ‘risorgere’. E’ la Pasqua del Signore! E’ la nostra Pasqua! In questo tempo di Quaresima siamo richiamati a fare un ‘viaggio’ nella nostra ‘storia’ personale, a vivere con intensità, gradualità e verità questo cammino ed essere riflesso e testimonianza dell’amore di Dio”.
Con questo stile affettuoso inizia la lettera per il tempo di Quaresima dell’arcivescovo di Matera-Irsina, mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, che nei lunedì svolgerà nella Casa spirituale ‘Sant’Anna’ i quaresimali sul tema ‘Tempo di Quaresima, tempo privilegiato per l’ascolto della Parola per tornare a Dio’. Nella lettera l’arcivescovo parte ricordando che ‘l’altro è un dono’, in quanto la diocesi, in questo anno pastorale, ha scelto di meditare sulla promozione del bene comune: “E’ a partire dalla Parola che ci rendiamo conto quanto Dio desideri la felicità di ogni uomo, senza differenze di culture, nazionalità o colore: l’altro è un dono!
Facendo memoria delle nostre radici, tra i ‘Sassi’ di Matera, come d’altronde nei nostri paesi rurali, questo valore si è sempre coltivato con lo stile di vita del ‘vicinato’: tutti maestri e tutti discepoli!” Nella lettera il vescovo propone di riscoprire il ‘vicinato’ non come luogo di ‘controllo’, ma come luogo di ‘comunione’ tra le famiglie: “Il vicinato, tipico dei paesi del Sud Italia, ha rappresentato il luogo della ‘comunione’.
Le famiglie, pur nella loro autonomia, si ritrovavano nel ‘largo’ per condividere il lavoro, l’arte che ognuno conosceva, si respirava la ‘fragranza del pane’ appena sfornato e, come il suo profumo riempiva tutto il vicinato, cosi la ‘gioia della solidarietà’ riempiva i cuori di canti di festa tali da trasformare i ‘molti’ in ‘uno’ ed il ‘poco’ in ‘tanto’: a nessuno doveva mancare il necessario e persino le chiacchiere che facevano parte del tessuto sociale venivano trasformate in segno d’unità e di pace: tutti dovevano godere della stima di tutti”.