Città del Vaticano , sabato, 16. maggio, 2015 17:11 (ACI Stampa).
Le donne capi dicastero in Vaticano? Possibile, sarebbe “una grande cosa”, ma “quello non è riscoprire il ruolo delle donne nella Chiesa”. Perché la questione è più “profonda”. Per Papa Francesco: “L’essenziale del ruolo della donna va, lo dirò in termini non teologici, nell’aiutare che lei esprima il genio femminile”. Papa Francesco parla ai religiosi della diocesi di Roma. Ma i temi soprattutto per le religiose, che, a dire il vero, questa mattina affollavano l’Aula Paolo VI in maniera preponderante rispetto ai loro confratelli uomini. Non a caso, è stato lo stesso Papa a confermare che le religiose sono l’“80%” di tutti i consacrati.
E’ stato un incontro “privato”. Nessuna diretta tv, nessun testo preparato; solo alcune domande a cui il Papa ha risposto a braccio con uno stile franco e diretto. Come quando ha affrontato la questione dei ruoli: “Quando mi dicono: ‘No! Nella Chiesa le donne devono essere capi dicastero, per esempio!'. Sì possono, in alcuni dicasteri possono; ma questo che tu chiedi è un semplice funzionalismo”, ha spiegato.
Nelle donne, invece, c’è un di più di geniale e di riconciliante: “Quando noi trattiamo un problema fra uomini arriviamo ad una conclusione – ha detto Francesco -, ma se trattiamo lo stesso problema con le donne, la conclusione sarà diversa: andrà sulla stessa strada, ma più ricca, più forte, più intuitiva. Per questo la donna nella Chiesa deve avere questo ruolo, ma deve esplicitare, aiutare ad esplicitare in tante maniere il genio femminile”.
Questa questione si può applicare alla direzione spirituale, che “non è un carisma esclusivo dei presbiteri: è un carisma dei laici”, purché ben formati. E quindi anche un compito delle suore: guai a dire “ma è donna”. “Nell’altra diocesi che avevo – dice Francesco -, sempre consigliavo alle suore che venivano a chiedere consiglio: ‘Ma dimmi, nella tua comunità o nella tua congregazione, non c’è una suora saggia, una suora che viva il carisma bene, una buona suora di esperienza? Fai la direzione spirituale con lei!’”. Insomma la differenza tra confessore e direttore spirituale è chiara: al primo si dicono i peccati, al secondo “cosa succede” nella propria vita.
Francesco ritorna sul tema della clausura. Che “non è rifugio”, ma campo di “battaglia”, “lotta”, in un’armonia possibile nel “delicato equilibrio” tra nascondimento e visibilità; esperienza in cui dare lettura delle vicende del mondo in uno stile orante per “bussare al cuore del Signore per quella città”. Senza arroccarsi in una posizione anti-tempo, “in questa tensione tra la vita nascosta, la preghiera e il sentire le notizie della gente”.
Pur tralasciando i “media chiacchieroni”, le notizie “devono”, non solo “possono entrare in monastero”: “una delle cose che mai, mai dovete lasciare è un tempo per sentire la gente! Anche nelle ore di contemplazione, di silenzio… Alcuni monasteri hanno la segreteria telefonica e la gente chiama, chiede preghiera per questo, per l’altro: questo collegamento è importante con il mondo!”.
Non deve mai mancare la “maternità” delle suore, che parte dalla loro dimensione “sponsale”, che abbia le “qualità di perseveranza, di fedeltà, di unità, di cuore”. Ma anche la loro “concretezza” che è “la qualità di questa maternità delle donne, delle suore. Amore concreto. Quando una suora incomincia con le idee, troppe idee, troppe idee… Ma cosa faceva Santa Teresa? Quale consiglio dava Santa Teresa, la grande, alla superiora? ’Ma dalle una bistecca e poi parliamo’. Farla scendere alla realtà. La concretezza e la concretezza dell’amore è molto difficile. La concretezza della bontà, dell’amore, che perdona tutto! Se deve dire una verità, la dice in faccia, ma con amore… Che prega prima di fare un rimprovero e poi chiede al Signore che vada avanti con la correzione. E’ l’amore concreto!”.
Papa Francesco si è soffermato anche sulla vita comunitaria - “non si può vivere la vita consacrata senza la dimensione festosa”, che non è “chiasso” - e sull’obbedienza, chiedendo di bandire “gelosie ed invidie”. Poi ha parlato del rapporto con le diocesi: “Il vescovo non deve usare i religiosi come tappabuchi, ma i religiosi non devono usare il vescovo come fosse il padrone di una ditta che dà un lavoro”.
“Il Mistero di Cristo è un mistero di obbedienza e l’obbedienza è feconda – ha spiegato il Papa -. E’ vero che come ogni virtù, come ogni posto teologico, luogo teologico, può essere tentata e diventa, non so, un atteggiamento disciplinare... Ma l’obbedienza nella vita consacrata è un mistero. E così come ho detto che la donna consacrata è l’icona di Maria e della Chiesa, possiamo dire che l’obbedienza è l’icona della strada di Gesù. Quando Gesù si è incarnato per obbedienza, si è fatto uomo per obbedienza, fino alla croce e alla morte. Il mistero dell’obbedienza non si capisce se non alla luce di questa strada di Gesù; il mistero dell’obbedienza è un assomigliare a Gesù nel cammino che Lui ha voluto fare. E i frutti si vedono”.