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Un diplomatico della Santa Sede in Siria. “La gente ne ha abbastanza”

Aleppo | Un momento di preghiera di fronte ad una "natività" costruita dai cristiani locali nelle rovine della Cattedrale Maronita di Sant'Elijah ad Aleppo  | Holy See Mission at UN
Aleppo | Un momento di preghiera di fronte ad una "natività" costruita dai cristiani locali nelle rovine della Cattedrale Maronita di Sant'Elijah ad Aleppo | Holy See Mission at UN
La chiesa siriaco cattolica Mar Assia al-Hakim | La chiesa siriaco cattolica Mar Assia al-Hakim, costruita ad Aleppo nel 1500 e distrutta nel conflitto il 16 settembre 2012  | Holy See Mission at the UN
La chiesa siriaco cattolica Mar Assia al-Hakim | La chiesa siriaco cattolica Mar Assia al-Hakim, costruita ad Aleppo nel 1500 e distrutta nel conflitto il 16 settembre 2012 | Holy See Mission at the UN
Mons. Simon Kassas | Monsignor Simon Kassas, della Missione della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York | Holy See Mission at the UN
Mons. Simon Kassas | Monsignor Simon Kassas, della Missione della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York | Holy See Mission at the UN

I siriani “ne hanno avuto abbastanza”. È perentorio monsignor Simon Kassas. Libanese, primo segretario della Missione della Santa Sede presso le Nazioni Unite di New York – è lui che legge gli interventi in arabo alla missione, monsignor Kassas è stato in Siria recentemente, muovendosi dal natio Libano dove era andato per trascorrere il Natale. E, al suo ritorno, ha portato foto e impressioni, condivise dalla Missione della Santa Sede all’ONU.

“I siriani – dice – ne hanno avuto abbastanza. Sei anni di guerra possono bastare. Sono stanchi e soffrono. È tempo di pensare ad una nuova Siria”. Monsignor Kassas sottolinea che “la comunità internazionale ha un grande dovere e responsabilità nell’aiutare a ricostruire una nuova e più stabile Siria”.

La pace in Siria – aggiunge – deve “basarsi su questi pilastri: il rispetto per la vita umana e per la libertà religiosa, che significa la libertà di culto e di vivere secondo gli insegnamenti morali di ciascuna religione; l’impegno nell’assicurare ciò di cui ogni persona a bisogno per una vita degna; e la costruzione di uno Stato di diritto e di giustizia”.

Monsignor Kassas parla con trasporto, segue la vicenda anche perché ne è toccato personalmente: anche lui a cinque anni è stato un rifugiato. Mette in luce che “i cristiani soffrono”, ma vivono di speranza nonostante abbiano perso molto. E delinea il prima e il dopo: prima le condizioni economiche erano buone, ora hanno perso tutto; prima, l’intero villaggio poteva andare in chiesa ogni domenica per la Messa, oggi le chiese sono distrutte. “La guerra ha creato instabilità, ma imparare come vivere in questa instabilità è una grande sfida”, afferma.

E spiega che la vera preoccupazione è “come davvero aiutare i cristiani in Medio Oriente”, perché sec continua così “i cristiani in Medio Oriente non ci saranno più.” Oltre alla ricostruzione delle chiese per tenere in piedi la comunità, le comunità hanno bisogno di “denaro per sopravvivere”, perché molti non possono lavorare, e c’è bisogno di persone sul territorio, non solo ufficiali ONU o Caritas ma anche persone comuni che “incoraggino”.

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Monsignor Kassas ricorda la lettera di Papa Francesco al presidente Assad, sottolinea che il Papa è molto attento alla situazione del Medio Oriente, che è dove “è nato il Cristianesimo”. E conclude: “I siriani ne hanno abbastanza. Sei anni di guerra sono sufficienti. Sono stanchi e stanno soffrendo”.