Firenze , venerdì, 20. gennaio, 2017 9:00 (ACI Stampa).
Una "invasione" di oltre tremila cinesi avvenuta in poco tempo a San Donnino, un paesino di 4.500 abitanti alla periferia di Firenze che si ribellò (in proporzione, sarebbe stato come se una città come Roma fosse stata invasa da 3 milioni di immigrati). Le tensioni di 25 anni fa, con speculatori sulla allora inedita ondata migratoria che pose le basi per una delle più popolose 'Chinatown' d'Italia. Una politica che fu spesso assente. Centinaia di operai italiani che perdevano il lavoro. Episodi di raccomandazione per i permessi di soggiorno. Una situazione complicatissima, che trovò un punto di svolta con la comparsa sulla scena di un sacerdote: don Giovanni Momigli. Lui era stato uno dei sindacalisti Cisl più noti della Toscana, prima di lasciare tutto per indossare la tonaca. La sua storia è raccontata ne “La rivoluzione di Don Momigli - La via fiorentina all'integrazione”, il libro del giornalista fiorentino Luigi Ceccherini. Ma chi era e che cosa fece questo straordinario sacerdote? Lo racconta lo stesso Ceccherini, parlando con ACI Stampa.
Perché la scelta di scrivere un libro sulla figura di Don Momigli? Cosa lo ha colpito?
Uno, perché conosco don Momigli da quattro decenni e, dopo aver compiuto 65 anni, mi sono accorto che se le cose non si fermano sulla carta va a finire che si perdono. Poi perché la sua vita a me è sembrata un film. Ci sono tanti ingredienti. A cominciare da quando è stato costretto a 11 anni ad andare a fare il falegname, per poi riprendere gli studi e occuparsi di amministrazione. E poi ancora fare le magistrali da privatista per avere una preparazione adeguata. A 15 anni non lo avevano accettato in seminario. E lui ci ha riprovato a 35 anni, quando era diventato segretario della Filca Cisl, era entrato nel Consiglio nazionale del sindacato, e aveva riunito in un’unica sede a Firenze tutti gli edili dei tre sindacati. Un caso quasi unico anche questo. Ma anche in seminario non era stato fermo: con il diploma, appena preso, se ne è andato alle scuola serali del Comune di Firenze ad insegnare agli immigrati. E ancora, un anno dopo essere stato ordinato sacerdote, nel 1991, il cardinale Piovanelli, lo ha spedito al… fronte, proprio per la sua capacità di trattare, di mediare: ovvero a San Donnino, la periferia di un Comune (Campi Bisenzio) periferia di Firenze. Qui erano arrivati tremila cinesi e la popolazione era solo di 4.500 abitanti. Come se a Roma arrivassero oggi tutti insieme tre milioni di migranti. Che succederebbe? Probabilmente quello che successe a San Donnino. Cortei, aggressioni. E lui in quella situazione ha preso i vari gruppi, uno alla volta, ha cercato di arrivare a delle intese, poi ha riunito tutti a un tavolo compreso tutti i politici. La Chiesa praticamente è subentrata al ruolo delle varie amministrazioni dello Stato. Questo prete ha messo a disposizione dei cinesi interpreti, esperti di diritto e di sicurezza. Era il suo compito? No. Ma siccome nessuno lo faceva l’ha fatto lui. Ha portato delle suore cinesi che entravano nei capannoni, come una volta entravano nelle corsie degli ospedali. La Cina si è convinta di creare un consolato generale a Firenze. Ha ospitato i primi passi del consolato in parrocchia. Anche la Regione, alla fine, si è svegliata. Ha creato consultori specializzati nella medicina orientale e messo a disposizione fondi per facilitare il trasferimento dei cinesi in altre zone. In tre anni la situazione si è normalizzata.
Ma ha fatto tutto da solo?
No, certamente, ma è stato speciale nel sollecitare la generosità e l’impegno di tanti. Per esempio, alcuni gli offrirono terreni e case abbandonate in Mugello e in Valdarno. Ma i cinesi non conoscevano la nostra agricoltura e questo è un settore in cui certamente non ci si può improvvisare.