Roma , giovedì, 12. gennaio, 2017 18:00 (ACI Stampa).
In Pakistan ogni anno migliaia di donne cristiane sono rapite, violentate, costrette ad abbandonare la fede e a contrarre matrimonio islamico. Anche quelle risparmiate da queste crudeltà subiscono quotidiani soprusi. Spesso analfabete, quando riescono a lavorare sono di frequente ridotte in condizioni schiavistiche. Quattro autorevoli donne italiane, espressione della società civile, si schierano al fianco delle donne oppresse del Pakistan, accompagnando le iniziative assunte dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre.
Sono l’Avv. Giulia Bongiorno, impegnata contro le violenze e gli abusi ai danni delle donne attraverso la Fondazione Doppia Difesa, la Prof.ssa Maria Luisa Di Pietro, Direttore del Center for Global Health Research and Studies all’Università Cattolica del Sacro Cuore, la Prof.ssa Assuntina Morresi, Associato di Chimica Fisica, Presidente del Corso di Studio Magistrale in Biotecnologie Molecolari e Industriali all’Università di Perugia, editorialista di Avvenire, e la Dott.ssa Sandra Sarti, Prefetto e Vice Capo di Gabinetto del Ministro dell’Interno.
In Pakistan le norme c.d. anti-blasfemia contenute nel codice penale limitano gravemente le libertà religiosa e di espressione: dei circa 8.000 condannati a morte detenuti nelle carceri pakistane più di 1.000 sono imprigionati per presunta blasfemia. Tra loro vi è Asia Bibi, madre di cinque figli, arrestata nel 2009 per aver offerto acqua ad alcune donne musulmane che lavoravano con fatica nei campi. La colpa da lei commessa è stata quella, in quanto cristiana, e quindi ritenuta “impura”, di aver “osato” rivolgersi a donne fedeli dell’Islam: per questo il suo gesto è stato qualificato blasfemo!
La storia di Asia è solo la punta dell’iceberg. Come trascurare i matrimoni imposti alle ragazze, che costituisce oggi una delle forme più insidiose di violenza contro le minoranze cristiana (2,2% della popolazione), induista (1,3%) e di altre fedi (0,3%)? Nel 2015 a Pattoki (Punjab) Nabila Bibi, una donna cristiana di 22 anni, è stata rapita da quattro uomini armati, costretta a convertirsi all’Islam e obbligata a sposare un musulmano. Quando il padre di Nabila si è recato presso la stazione di polizia per registrare la denuncia gli agenti si sono rifiutati di procedere: gli aggressori avevano detto loro che la giovane aveva deciso volontariamente di abbracciare l’Islam e di contrarre matrimonio con un musulmano. E’ uno dei tanti esempi che si potrebbero fare.
Sosteniamo con convinzione le iniziative assunte dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre a sostegno delle donne in Pakistan. “Formare giovani ostetriche” nel distretto di Faisalabad, per prendersi cura delle donne che subiscono violenze o sono costrette ai matrimoni forzati, e “Aiutare le donne povere” a Lahore per sostenere ragazze in difficoltà psicologica e finanziaria, rappresentano un impegno concreto per la dignità delle donne. In Pakistan, in Italia e altrove.