Roma , mercoledì, 11. gennaio, 2017 16:00 (ACI Stampa).
Lauro, il protagonista della storia, perde il padre Anturio all’età di soli due anni. La madre, Giacinta, fa in modo che il ricordo, già sbiadito del padre, sia cancellato del tutto dalla memoria del figlio privandolo di racconti e fotografie riguardanti Anturio.
Il giovane Lauro cresce con un’immagine paterna modellata sulle sue esigenze e, pertanto falsata nella sua oggettiva affettività. Un evento sconvolge il normale decorso della sua quotidianità fatta di paure e incertezze: trova per caso un indizio che lo spinge a credere che il padre avesse avuto, in Sicilia, una relazione dalla quale è nato un figlio. La sete di verità lo spinge sulle strade di un ‘viaggio’ alla ricerca di un fratello ma, ciò che scoprirà lo riguarderà intimamente e personalmente: Lauro è stato concepito con la modalità dell’utero in affitto. Poco alla volta la verità si fa spazio ed emerge nella sua drammaticità, ma anche nella sua forza liberatrice.
Presentato in molti festival europei il film ha ottenuto molte critiche positive; ed incuriositi dal titolo siamo riusciti a rivolgere alcune domande al regista Egidio Termine: perché un film sulla maternità surrogata?
“In realtà non è un film sulla maternità surrogata, nel senso che non esprime un giudizio di carattere morale sulla pratica dell'utero in affitto. E’ un film sul bisogno si sentirsi amato della persona sin dal suo concepimento. E quindi un film che vede la pratica dell'utero in affitto che entra in maniera trasversale nella storia. Un bambino deve sentirsi amato e quindi accolto, per potere sviluppare una personalità armonica e ricca di fiducia alla vita...
Se, invece sin dal grembo materno sente che sarà in qualche modo ceduto ad un'altra madre, sicuramente ne subirà delle conseguenze a carattere psicologico. Le coccole sono dovute al bambino, sin dal suo concepimento, come dicevo prima, ma come fa una madre a fare le coccole e a parlare con amore al piccolo che tiene in grembo se poi lo dovrà cedere?”