Roma , mercoledì, 4. gennaio, 2017 10:00 (ACI Stampa).
Benedetto XVI visto da un non credente. Spesso si pensa che tra il predecessore di Francesco ed il mondo laico ci sia una distanza incolmabile. Invece non è così, stando a quanto racconta il Professor Giuseppe Vacca - già deputato al Parlamento italiano, storico del marxismo - in questa intervista concessa ad ACI Stampa.
Professore, che pontificato è stato quello di Benedetto XVI visto con gli occhi di un laico?
Io avevo già qualche conoscenza del suo pensiero e mi ero soffermato in particolare sul suo dialogo con Habermas perché si tratta di un tema nodale per credenti e non credenti e cioè come si legge la modernità in rapporto tra fede e ragione. Ed è per quanto mi riguarda un tema costitutivo, sebbene non credente, per la mia formazione togliattiana. Mi aveva molto colpito e mi aveva trovato in sintonia perché da questo punto di vista Habermas è un epigono e nello stesso tempo la mia esperienza mi ha portato ad una posizione di laicità positiva: considerare la religione come elemento fondamentale della libertà e della comunità, in particolare per il Cristianesimo ed ancora di più per il Cattolicesimo, per il suo carattere effettivamente universalistico in quanto tiene insieme l’uno e i molti come nessuna altra religione. Sebbene non sia un filosofo di mestiere, una certa educazione alla lettura delle encicliche l’ho avuta abbastanza presto… Quindi mi hanno colpito in particolare le sue encicliche, la capacità di rimotivare la funzione della fede e la sua funzione ermeneutica e conoscitiva rispetto a ciò che è la modernità.
Lei parlava delle encicliche di Benedetto XVI… in particolare vorrei parlare della Caritas in Veritate. Come giudica questo testo?
Io ho provato a “tradurla” nel linguaggio che dà senso al mio determinarmi. E io la considero la sintesi più lucida sulla globalizzazione e le sue contraddizioni. Non do a questa tematica una riducibilità disciplinare perché nel linguaggio dominante globalizzazione sta per globalizzazione economica e tutto viene assorbito da un surrettizio economicismo che poi non riesce a determinarsi, o meglio è una apologia indiretta di quello che avviene e dato che io non ho alcuna apologia da fare ho una posizione critica che ha fondamento storico e analitico che deriva dal marxismo italiano. Quindi è un testo che mi interpella immediatamente come ogni testo di dottrina dal Concilio in poi. Ma questa in particolare perché è una critica del capitalismo attuale, delle sue contraddizioni e dei suoi rischi, molto più precisa di tutte quelle che circolano nel linguaggio corrente, è una critica non dal punto di vista del rapporto con il destino del credente, ma il destino dell’uomo e quindi mi è capitato tre anni fa di fare una lettura di questa enciclica e ho fatto una vera e propria traduzione per vedere cos’è un umanesimo condiviso, un reciproco riconoscimento nella comune umanità per trovare una sostanziale convergenza e mantenendo la specificità dei linguaggi connessa alle differenza del credo.