Le cifre della crisi sono enormi: si parla di 250 milioni di migranti, 65 milioni di persone forzatamente obbligate a lasciare le loro case, e tra queste ultime 25 milioni di persone costrette persino ad abbandonare il loro Paese…
Questi numeri impressionanti, insieme alle ragioni che spingono a tali massicci movimenti migratori dovrebbero indurci ad una riflessione più seria circa il nostro impegno come famiglia umana. Il crescente numero di migranti è la prova tangibile della ingiusta distribuzione delle risorse e dei beni della terra, che sono destinati ad essere equamente condivisi da tutti. Bisognerebbe creare delle società basate sull'inclusione e la giustizia, sul rispetto dei diritti umani fondamentali, rendendo la migrazione un'opportunità e una scelta piuttosto che una decisione convincente. Sono cifre che però non delineano il fenomeno nella sua completezza.
Perché?
Occorre fare una precisazione: 250 milioni è il numero di migranti internazionali, ma se si prendono in considerazione anche i migranti che si muovono nei confini nazionali la cifra giunge a 1 miliardo: questo significa che 1 persona su 7 è impegnata in qualche forma di mobilità umana. Ma è più importante ricordare che al di là di questi numeri vi sono delle persone, ciascuno dei quali con un nome, un volto, una storia e delle aspirazioni, e con un diritto inalienabile di vivere in pace.
Quali sono le azioni che può compiere lo IOM in questo caso? E in che modo la Santa Sede può dare il suo contributo?
La comunità internazionale deve sviluppare delle soluzioni su due binari: innanzitutto proteggere coloro che si trovano in situazioni di pericolo nel loro percorso migratorio per molteplici ragioni, indipendentemente dal loro status, salvando le vite umane, e dall’altro lato bisogna agire sul lungo periodo, cercando di capire le cause che portano a queste migrazioni forzate. Questo richiede un impegno concertato. La migrazione dovrebbe essere una decisione ragionata, e non una scelta forzata.
Quali allora gli ultimi provvedimenti?
Il 19 settembre scorso, dopo un lungo confronto, si è adottata a New York la Dichiarazione dell’ONU su Migranti e Rifugiati, un risultato storico ma non privo di sfide, simbolo dell‘esigenza di un miglior coordinamento della mobilità umana. La proliferazione di iniziative all’esterno dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni come il Global Forum on Migration and Development, come al suo interno con il Dialogo Internazionale sulle Migrazioni, credo ci facciano giungere ad una conclusione chiara: di fronte alla realtà migratoria è ormai evidente che uno Stato non possa gestire da solo un fenomeno che per sua natura coinvolge altre nazioni. Ma rimane anche vero che per la sua sensibilità politica ogni stato è ancora riluttante a perdere anche parte del controllo su chi entra nel suo territorio.
Durante questi cinque anni da membro dello IOM, quale è stato l’impatto che la Santa Sede ha avuto sui lavori dell’organismo? E quale invece l’impatto che si potrebbe avere?
Durante questi cinque anni come membro dell’IOM, la Santa Sede ha cercato di dare voce a quelle persone che si trovano in situazioni di vulnerabilità e alle ingiustizie e disuguaglianze. Papa Francesco ha attribuito la più importante visibilità al fenomeno migratorio (si ricordino per esempio le visite dal forte valore simbolico a Lampedusa e a Lesbo) e questo è stato riconosciuto da tutte le Organizzazioni Internazionale. Il Direttore Generale dell’IOM, l’Ambasciatore William L. Swing spesso cita le parole di Papa Francesco durante le riunioni dell’Organizzazione. La Santa Sede ha sempre cercato di trasmettere l’idea che le migrazioni non sono un problema da risolvere, ma una realtà umana che come tale deve essere gestita in maniera ordinata e consapevole, insieme ad una politica di integrazione sostenibile. La Santa Sede ha da sempre anche sottolineato l’importanza di impegnarsi per combattere le cause della migrazione forzata e di creare le condizioni per uno sviluppo integrale delle società nei Paesi di origine, sradicando povertà, situazioni politiche instabili, crisi sanitarie, persecuzioni, disastri ambientali ed effetti del cambiamento climatico.
Si parla molto dei diritti dei migranti, e del giusto riconoscimento dell’accoglienza per tutti. Sembra però messo in secondo piano il tema del diritto di ogni immigrato a rimanere nella sua terra di origine: perché questo diritto sembra spesso poco enfatizzato?
Nessuna persona umana, avendo la possibilità di vivere nel Paese natio con dignità sarebbe costretto a fuggire. Bisogna sforzarsi di creare le condizioni per uno sviluppo integrale delle società nei Paesi di origine, contrastando povertà, situazioni politiche instabili, crisi sanitarie, persecuzioni, disastri ambientali ed effetti del cambiamento climatico. Ma non dobbiamo dimenticarci di alcune questioni fondamentali: il primo è che i flussi migratori Sud-Sud sono in realtà superiori rispetto a quelli Sud-Nord, pertanto le “invasioni” sono soltanto percezioni; il secondo sono le tendenze demografico, soprattutto in Europa, con la diminuzione e l’invecchiamento della popolazione, e la costante necessità di forza lavoro per mantenere livelli di economia competitivi. L’obiettivo è rendere la migrazione una scelta consapevole e ragionata, e non una necessità forzata da cause esterne.
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Ci sono iniziative di tipo giuridico da parte della Santa Sede per riconoscere in maniera più netta il diritto dei migranti a rimanere nella loro terra o ad essere accolti? La legge internazionale è sufficiente a tutelare quanti si trovano nei flussi migratori?
I migranti possono dare un contributo ancora più ricco quando la loro dignità viene rispettata, la loro integrazione favorita, i loro diritti umani garantiti, e lo sviluppo dei loro talenti e le energie vengono incoraggiati. Storicamente i muri non sono serviti a impedire i movimenti di persone, quindi non rappresentano di certo la soluzione. Ritengo che siano due i problemi principali per quanto riguarda il diritto internazionale per la tutela dei migranti: il primo è che seppure esistono delle importanti convenzioni, queste spesso non vengono ratificate da molti Stati; il secondo è che vi sono alcune lacune che non proteggono alcune categorie di migranti, come ad esempio i migranti ambientali.