Città del Vaticano , mercoledì, 4. gennaio, 2017 16:00 (ACI Stampa).
C’è l’idea della riforma e l’idea della continuità. C’è il lavoro continuo della conversione spirituale, ma anche la denuncia per la corruzione. E c’è persino una presa di posizione fortissima del Papa in favore della famiglia. Non stiamo parlando dell’ultimo libro sulla Chiesa, ma di un documento di inestimabile valore: il diario conciliare di Monsignor Pericle Felice, segretario generale del Concilio Vaticano II.
Raccolto da padre Vincenzo Carbone e curato dall’arcivescovo Agostino Marchetto, il diario ha avuto una seconda edizione, con un “addendum” che in realtà è parte integrante del libro. Perché la prima edizione si basava sulla trascrizione di monsignor Carbone, senza la possibilità di consultare i testi manoscritti, ma poi i testi manoscritti sono stati consegnati alla Segreteria di Stato dalle sorelle di Carbone, e dunque si è potuto aggiungere ciò che ancora non si era potuto aggiungere.
Quello che non c’era nel libro sono quattro quaderni di “cogitationes cordis”, ovvero “riflessioni del cuore” e otto agende annuali, dal 1959 al 1966. Una lettura propedeutica del diario stesso, secondo come l’ha definita l’arcivescovo Marchetto in una intervista con Radio Vaticana.
Fatto che il diario di monsignor Felici, sempre al centro della macchina del Concilio, va letto con particolare attenzione. Per vari motivi. Il primo è che dimostra la bontà dell’ermeneutica della continuità proposta da Benedetto XVI nell’ormai celebre discorso alla Curia romana del Natale 2005, di cui l’arcivescovo Marchetto, nei suoi volumi sulla storia del Concilio, ha fornito diverse prove. Il Concilio non nasce come una rivoluzione, ma che un nuovo modo di annunciare il Vangelo. Non c’è nessuna voglia di quello sconvolgimento dottrinale che invece viene propugnato da una certa campagna dopo il Concilio.
In secondo luogo, il diario di monsignor Felici mostra che le preoccupaazioni della Chiesa di allora sono anche quelle di oggi. Anche questo un segno di continuità, se non altro perché si parte da un dato rivelato e si cerca di comprendere come calarlo nei tempi. E se non altro perché la corruzione, il carrierismo – denunce che sono state proprie di tutti i Papi – sono presenti nel diario di Monsignor Felici, che le indica come la base di alcuni tipi di intervento. E c’ un brano che racconta molto bene quali fossero le intenzioni di Paolo VI nel Concilio. Il 21 maggio 1964, monsignor Felici annota che il Papa “mi parla ancora dell’organizzazione post-conciliare: il governo della Chiesa deve corrispondere di più alle esigenze del mondo moderno, ma sia ben chiaro che l’autorità centrale deve essere e rimanere solo del Papa”.