Quale deve essere oggi l'annuncio del cristianesimo sulla morte e sul dopo? Non trova che se ne parli troppo poco anche tra i cattolici?
A lungo i temi della vita eterna e dell'inferno erano centralissimi nella predicazione. Poi si è rivalutata la positività della vita presente, sottolineando giustamente che la speranza della vita eterna non ci dispensa dall'impegno nel mondo, ma del “dopo” si è parlato troppo poco. Nelle mie omelie, a Reggio Emilia e poi a Roma, introducevo quasi sempre il tema del nostro eterno destino e constatavo che l'attenzione saliva. Il compito fondamentale della Chiesa è annunciare Cristo risorto e la salvezza che Cristo promette riguarda certamente questa vita, ma anche e soprattutto la salvezza escatologica, come risulta dai Vangeli e da tutto il Nuovo Testamento che, a differenza dall'Antico, ha un carattere fortemente escatologico: basta guardare alle Beatitudini.
Verso la fine del libro lei torna ad avere un tono più personale e parla della differenza tra la certezza della speranza e la certezza del sapere, è la chiave di lettura che ha il cristiano davanti al “dopo”?
Direi di sì, perché la certezza del sapere è quella che si basa sull’evidenza razionale, ed è difficile raggiungerla sul “dopo”. In particolare, senza la rivelazione cosa sapremmo in concreto del dopo? La certezza della speranza è invece quella che si basa sulla fede, sulla promessa di Dio. E’ una speranza diversa dalle altre, perché non è un desiderio sospeso nel vuoto. E’ la speranza che ha reso e continua a rendere i martiri cristiani capaci di affrontare la morte pur di non rinunciare alla propria fede.
Perché dedica un intero capitolo del libro all'inferno?
E' il capitolo più difficile da scrivere perché ci mette a confronto con il mistero dell'iniquità. E’ nota l’obiezione: "Se Dio è infinitamente buono, come può permettere che gli uomini vadano all'inferno?". Chi ha dato la più forte testimonianza dell’esistenza dell’inferno è però Gesù stesso, ad esempio nel grande quadro del giudizio finale: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare…” E invece: “Lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare…”. Nello stesso tempo non bisogna dimenticare l'altro aspetto: inferno e paradiso non stanno sullo stesso piano. Infatti la salvezza è il centro del progetto di Dio, la non salvezza non è il progetto di Dio. E’ qualcosa al di fuori della volontà di Dio, che nasce dalla volontà libera delle creature. Il regno di Dio è “Vangelo”, cioè lieto annuncio, perché è l'annuncio della salvezza: non si tratta di due strade alla pari.
Nel Vangelo di Giovanni è detto chiaramente che Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo non per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi però non crede è già condannato perché ha rifiutato di credere. L'inferno è l'ostinazione nel peccato, nel rifiuto di Dio. La misericordia di Dio è però più grande della nostra libertà e conserva sempre l’ultima parola. Non sappiamo se qualche essere umano sia effettivamente dannato. Lo sappiamo invece per il demonio: perciò l'inferno non è "vuoto", anche se ovviamente non è un luogo.
Il fatto che si parli poco dell'inferno è conseguenza del fatto che si tende a dimenticare il demonio?
Anche di questo, ma soprattutto del fatto che si tende a dimenticare la libertà dell'uomo. Tutti parlano di libertà, però come libertà da vincoli esterni: ad esempio la libertà di parola e di stampa, o anche la libertà di qualcosa di negativo, come l’aborto. Ma gran parte della cultura attuale, soprattutto scientifica, ritiene che l'uomo non sia interiormente libero. La libertà sarebbe semplicemente l’assenza di una coazione esterna. Ma la vera libertà umana è anche libertà interiore, che si ha quando, posto tutto ciò che si richiede per agire, si può ancora scegliere di agire o di non agire, e di agire in un senso o nell’altro. Se non ci fosse questa liberà non avrebbe senso l’inferno e non avrebbe senso nemmeno la croce di Cristo. Saremmo solo degli animali, più evoluti, ma sostanzialmente non diversi dagli altri animali. Molte mancanze non mettono in gioco tutta la nostra libertà e non meritano una condanna eterna, ma l’uomo è capace di ben altro, di scelte terribili e raccapriccianti, come vediamo nella vita e nella storia.
Come diceva Giovanni Paolo II: la misericordia come limite al male?
Sì, solo la misericordia di Dio può porre un limite non superabile al male che noi possiamo fare.
Ad oggi davanti a questa cultura contemporanea, complessa e razionalista, come definirebbe in poche parole la speranza cristiana?
Iscriviti alla nostra newsletter quotidiana
Ricevi ogni giorno le notizie sulla Chiesa nel mondo via email.
Nell'ambito di questo servizio gratuito, potrete ricevere occasionalmente delle nostre offerte da parte di EWTN News ed EWTN. Non commercializzeremo ne affitteremo le vostre informazioni a terzi e potrete disiscrivervi in qualsiasi momento.
La speranza cristiana è la fiducia in Dio, anzitutto, e la convinzione che Dio mi aiuta a superare quelle difficoltà che da solo non potrei mai superare.