Venezia , mercoledì, 13. maggio, 2015 13:12 (ACI Stampa).
Una moschea in una chiesa. La provocazione dell’artista svizzero Christoph Büchel, uno con la passione di abbattere gli steccati ingaggiato dal padiglione islandese della 56esima biennale di Venezia, è diventata un caso internazionale. Perché – come fa notare don Gianmatteo Caputo, delegato per i beni ecclesiastici del patriarcato di Venezia – “nella vicenda si sono confusi e superficialmente mescolati due piani e ambiti che invece sono - e devono restare - ben distinti per la loro serietà e complessità: la questione relativa all’installazione artistica del padiglione islandese della Biennale d’Arte e la richiesta di realizzare una moschea nella città di Venezia,” tra l’altro senza coinvolgere né le autorità religiose implicate né la cittadinanza, risultando così “una grande forzatura.” E sottolinea che sarebbe opportuno che la stessa comunità musulmana “prenda le distanze da questa provocazione rilanciando la richiesta di un suo spazio per la preghiera che sia adeguato, dignitoso e riconosciuto da tutta intera la comunità civile.”
La storia è questa: in vista della 56esima Biennale di Venezia, Christoph Büchel pensa di installare una moschea all’interno di una chiesa. Si tratta di una installazione artistica, che diventa però anche luogo di culto islamico, dove si può andare a pregare. Non semplicemente una forma d’arte, ma anche un luogo di preghiera.
Per utilizzare un luogo di culto (così come eventualmente per cambiarne la destinazione religiosa d’uso, seppur provvisoriamente), serve un permesso della diocesi, da norme concordatarie. Che non lo concede, perché - sottolinea - serve un maggiore coinvolgimento di tutte le autorità interessate, dagli esponenti del mondo islamico della città (mai coinvolti dall’artista) alla Sovrintendenza. Insomma, non è una scelta da fare a cuor leggero. Coinvolge la comunità cristiana di Venezia, che si vede sottrarre un luogo di culto per una installazione che non è meramente artistica. Ma coinvolge anche la comunità islamica di Venezia, frastagliata tra 30 nazionalità diverse, che si lamenta di non avere una moschea nella città – hanno un capannone a Marghera, ma loro vorrebbero un luogo bello per il culto. E coinvolge anche la città di Venezia.
Non ricevendo l’ok da parte del patriarcato, l’artista sonda gli edifici di culto che non sono proprietà del Patriarcato. E trova la chiesa di Santa Maria di Misericordia, nel Sestiere Cannaregio. La chiesa è stata ceduta a ‘privati’ dal 1973. Non si tratta di una chiesa sconsacrata. È semplicemente chiusa al culto dal 1969. Adiacente, c’è la Scuola di Misericordia, che è stata di proprietà, dal 1920 al 1974, di Italico Brass, il nonno di Tinto, artista che la usava per le sue installazioni. Ora è di proprietà dello Stato, e su internet c’è anche un bando di concorso per il restauro dell’edificio.
Poco si sa però dei proprietari della chiesa di Santa Maria della Misericordia, che concedono lo spazio - alcuni report parlano di un edificio di proprietà di una compagnia delle luci. E così si crea un luogo di culto musulmano nel cuore di una chiesa, mentre la comunità islamica approfitta dell’occasione per reclamare una propria moschea, e i fedeli musulmani cominciano ad andarci a pregare.