Città del Vaticano , mercoledì, 21. dicembre, 2016 14:00 (ACI Stampa).
Come rispondere alla recente epidemia di Zika? Se lo sono chiesi 30 tra professionisti e missionari della Caritas che si sono incontrati a Roma nella seconda settimana di dicembre. Hanno fatto i conti su come hanno risposto all’epidemia di Ebola (che ha toccato 3 continenti e ha causato 11 mila morti) e hanno sviluppato un modello per rispondere anche ad altre emergenze, come quella di Zika. Padre Peter Konteh ha un lungo lavoro sul campo. È direttore esecutivo di Caritas Freetown, in Liberia. Racconta ad ACI Stampa il lavoro che è stato fatto. E il perché il lavoro sul campo della Chiesa è ancora l’unica possibilità per salvare molte vite.
Cosa avete imparato dall’emergenza Ebola?
Quando è scoppiata l’epidemia, le persone non si fidavano del governo, né del lavoro delle Organizzazioni Non Governative. Si fidava di noi. Siamo missionari, sacerdoti, membri della Chiesa, passiamo ogni giorno con le persone. Abbiamo un capitale di fiducia che è il valore più importante, e che ci permette di rispondere alla crisi in maniera più efficace. Prima delle strutture, viene la fiducia.
Quali sono state le più grandi sfide nell’affrontare l’epidemia di Ebola?
L’Ebola si è diffuso molto rapidamente, ma noi abbiamo avuto varie difficoltà iniziali, anche perché gli stessi leader religiosi davano a volte messaggi sbagliati. Si è diffusa l’idea, per esempio, che le persone contraessero l’Ebola come una punizione dei loro peccati. Ci abbiamo messo tempo a spiegare che questo messaggio era sbagliato, a valorizzare la profilassi. E nel frattempo la comunità internazionale rispondeva anch’essa lentamente. Io sono stato personalmente negli Stati Uniti, nel Regno Unito, a spiegare l’emergenza. Solo dopo ci si è accorti della serietà del problema, di come questo potesse diffondersi a livello internazionale.