Città del Vaticano , giovedì, 15. dicembre, 2016 12:15 (ACI Stampa).
Tre domande, una testimonianza, quattro doni. La grande comunità dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù abbraccia Papa Francesco in Aula Paolo VI. Settemila persone tra ex pazienti, medici, infermieri, associazioni. Ma anche 150 bambini in cura verso l’ospedale sotto l’amministrazione della Segreteria di Stato, e 15 bambini provenienti da Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana, accompagnati dal neo cardinale Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo della città.
Un bambino porta al Papa un libro sulle missioni umanitarie, altre due portano un cesto in cui sono contenuti messaggi e pensieri di bambini e famiglie raccolti nelle ultime due settimane in ogni reparto dell’ospedale, un camice che gli viene dato da Damiana Slezio, 11, cui a 5 anni fu sostituita una valvola cardiaca, e una maglia con la scritta “Francesco I” consegnato da Jamal Jebli, nato in Italia da famiglia marocchina, che è dipendente dell’ospedale dopo esserne stato in cura da quando aveva sei mesi.
Il Papa che nel suo libro ha detto che vorrebbe “guarire tutti i bambini del mondo” (ed è il motivo per cui gli viene regalato il camice) risponde alle domande. Perché i bambini soffrono? “Non ho una risposta – dice il Papa - credo sia bene che questa domanda rimanga aperta”. E ricorda che nemmeno Gesù ha dato una risposta, che difronte ad innocenti che avevano sofferto in circostanze tragiche, non “ha fatto una predica”, ma “ci ha mostrato la via per dare senso anche a questa esperienza umana”, e “sopportando con amore la sofferenza ci ha mostrato per chi si offre. Non perché, ma per chi”.
Insomma, seguendo Gesù “più che cercare dei perché” si vive “ogni giorno per”.
E sulla richiesta di un medicamento, il Papa risponde che “si può imparare dai bambini: riscoprire ogni giorno il valore della gratitudine, saper dire grazie. Lo insegniamo ai bambini e poi non lo facciamo noi adulti. Ma dire grazie, semplicemente perché siamo davanti a una persona, è una medicina contro il raffreddarsi della speranza, che è una brutta malattia contagiosa”.