Città del Vaticano , lunedì, 12. dicembre, 2016 10:00 (ACI Stampa).
Sette anni anni fa uni dei vaticanisti più esperti e di lungo corso ci lasciava. Benny Lai aveva scritto di Vaticano dal 1951 fino a poco prima di morire. Tante le testate che avevano pubblicato i suoi articoli, e qualcuno era rimasto nel cassetto dei caporedattori. Ho avuto la fortuna di ereditare insime al collega Andrea Gagliarducci il suo archivio. E anche i suoi pezzi inediti. Come questo profilo di Madre Teresa di Calcutta, scritto dopo la morte della suora. L'omaggio per Benny è questo testo. Un omaggio anche a Santa Teresa di Calcutta.
Era piccola, mingherlina, con il largo volto solcato da rughe e la pelle incartapecorita dal peso degli anni. Uno scricciolo più che una donna con il cuore in disordine da tempo. Eppure bastava avvicinarla e sentirla parlare per rendersi conto che quella figuretta di suora, così mite all’apparenza, nascondeva una forte determinazione e una innata attitudine al comando.
Del resto senza queste doti sarebbe stato impossibile per Madre Teresa di Calcutta fondare un ordine religioso, acquistare prestigio e autorità nella Chiesa cattolica tuttora maschilista, ottenere il rispetto del mondo laico, persino da parte del Cremlino di Gorbaciov. E tutto per avere realmente esercitato la carità.
La straordinaria vicenda di questa religiosa a cui nel 1979 fu dato il premio Nobel per la pace ha inizio alla fine degli anni Quaranta. Fino ad allora non è che una oscura suora, l’albanese Agnes Gonxa Bojaxhiu, entrata a 18 anni, nel 1928, tra le Sorelle di Loreto, insegnante e poi preside in un convento di Calcutta. C’è un alto muro che divide il convento dal fangoso quartiere di Moti Jheel nei cui tuguri si ammassano migliaia di persone: un desolato spicchio di mondo che attira l’attenzione dell’albanese proveniente da famiglia benestante.
La religiosa racconterà parecchi anni pià tardi: “Dalla mia finestra vedevo da un lato il curato giardino del convento nel quale giocavano con allegria le alunne delle scuole da noi tenute e dall’altro la desolazione e la fame della folla indiana. Una scelta si imponeva”.