Rieti , martedì, 13. dicembre, 2016 18:00 (ACI Stampa).
Ha preso le mosse da un richiamo alla multidimensionalità dell’umano il ‘Discorso alla Città’ che il vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili, ha pronunciato durante la celebrazione dei primi vespri della II domenica di Avvento per la festa di santa Barbara, alla presenza dei rappresentanti delle principali realtà civili, economiche e sociali del territorio diocesano.
Rifacendosi al monito di Marcuse a guardarsi dall’uomo ‘a una dimensione’, mons. Pompili ha insistito sull’esigenza di recuperare la ‘ricchezza dell’umano’: “Quel che avviene nel microcosmo che è l’uomo, si riproduce nel macrocosmo della società. Il che rappresenta un ostacolo che pare insormontabile a chi come noi deve affrontare gli effetti di un terremoto persistente. La crisi che si è prodotta sul nostro territorio dopo il 24 agosto con il suo incalcolabile lascito di lutti e dopo il 30 ottobre con l’infiacchimento psicologico anche dei più resilienti, non può essere affrontata ‘a una dimensione’”.
Per far fronte a tutto questo non può bastare “un approccio solo economico e materiale, come non è sufficiente un approccio solo culturale e psicologico e neanche un approccio semplicemente spirituale e religioso. Occorre tenere insieme queste tre dimensioni. L’una sostiene l’altra, l’una dà consistenza all’altra. Dipenderà dalla capacità di mantenere questo dinamico e fecondo intreccio se la ricostruzione resterà una promessa inadempiuta o metterà invece in movimento un processo capace di dare frutti nel lungo periodo”.
Parlando delle ‘ferite’ causate dal sisma il vescovo di Rieti ha invitato il popolo a non cedere allo sconforto: “Peraltro il retro-pensiero di tanti è che il Friuli, l’Irpinia, l’Umbria, l’Aquila e l’Emilia sono ancora cantieri aperti, pur con mille distinguo. Ciò significa che c’è gente che a distanza di decenni ancora subisce sulla propria pelle gli effetti del terremoto. Solo se si ritrova uno spirito che sa immaginare altro rispetto alle macerie, che sa collocare questo momento in un tempo e in un senso diverso da quello dell’emergenza si possono affrontare le difficoltà e i ritardi.
Paradossalmente, essere in ginocchio apre una visuale diversa e più libera per fare quel salto di qualità necessario a immaginare un altro modello di sviluppo”. Solo riscoprendo il ‘genius loci’ è possibile la rinascita: “Ma senza lo spirito che va oltre i dati materiali non si fa nessun passo avanti. Se gli abitanti di Accumoli e di Amatrice, ma anche dei paesi e delle città del cratere non saranno capaci di andare al di là di quello che vedono oggi, sarà impossibile ricominciare a vivere. Quando nella storia dei popoli tutto è distrutto, solo chi ha uno sguardo spirituale sa incoraggiare a non arrendersi. Perché quello che oggi sembra impossibile torni alla nostra portata. Un realismo diverso ci è richiesto oggi. Il realismo della speranza che nel ‘non più’ riesce a vedere un ‘non ancora’, e a renderlo possibile”.