Come accompagnare le persone con tendenza omosessuale verso Dio?
“Papa Francesco a tal proposito ha definito un chiaro orizzonte pastorale dicendo che ‘le persone vanno accompagnate, le ferite vanno curate’. In questa prospettiva bisogna operare secondo verità e misericordia. Innanzitutto occorre vicinanza alla persona, andarle incontro nella condizione in cui si trova. Guardare, senza sconti, alle sue ferite così come alla sua ricchezza.
Questo comporta uno sforzo culturale e personale per costruire un nuovo atteggiamento disponibile ad ascoltare per comprendere una realtà umana complessa e non riducibile secondo le categorie stereotipate e astratte dell’odierno dibattito politico e culturale. Occorre incontrare la persona, nella sua identità creaturale di uomo e donna, e non pretendere di fare violenza alla realtà dividendo il mondo in ‘gay’ ed ‘etero’. Perché emozioni o comportamenti, per quanto importanti, non ci dicono chi siamo né a cosa siamo chiamati”.
Quale prospettiva traccia il Cristianesimo nella scoperta della propria identità?
“L’ascolto è solo la prima parte di un percorso in cui l’amore senza giudizio previene l’altro, perché liberamente arrivi ad interrogare nella preghiera la propria coscienza, una volta ricondotto difronte al Crocifisso. Coscienza, ben inteso, che si avvarrà per la sua formazione della sapienza distillata nella sacra scrittura, tradizione e magistero della Chiesa.
Qui, in un dialogo tutto personale, l’individuo giunge a restituire senso alla propria identità ferita, nella prospettiva dello speciale progetto di misericordia che Dio ha per ciascuno di noi. In questo senso, come riconciliazione della relazione con Dio, se stessi e gli altri, occorre intendere la ‘cura’ di quelle ferite che non guariscono mai, ma lasciano un segno dell’azione della grazia, come il lettino del paralitico, per essere lievito nella comunità cristiana e testimonianza ad altri fratelli feriti”.
Quale accompagnamento spirituale può offrire la Chiesa?
“La Chiesa affida ai vescovi, in quanto successori degli Apostoli e segno visibile di quella Verità che salva, il compito di creare contesti sicuri, come i gruppi di condivisione Courage, in cui le persone possano aiutarsi reciprocamente, sotto la guida paterna dei loro pastori, a scoprire la loro autentica vocazione all’amore.
Quell’amore che è casto, come ha coraggiosamente ricordato papa Francesco parlando ai giovani torinesi. Offrire un’alternativa positiva all’ideologia gay fatta propria dai principali media, evitando il muro contro muro, passa anche attraverso questi gesti positivi di autentica accoglienza. In questo modo i vescovi contraddicono nei fatti l’idea falsa secondo cui la Chiesa condannerebbe come ‘persone sbagliate’ chi prova attrazione per lo stesso sesso.
Al contrario la Chiesa afferma che la persona è sempre buona, a prescindere dal suo comportamento o orientamento sessuale, e proprio per questo mette in guardia da quegli atteggiamenti che possono distruggerla causandone l’infelicità”.
Per quale motivo il prof. Harvey ha fondato Courage?
“Nel 1980 il Cardinale di New York, Terence Cooke, affidò a p. Harvey la costituzione di Courage nella convinzione della necessità di dare concretezza alla sollecitudine pastorale dei vescovi nei confronti di una parte del gregge cattolico fino all’ora praticamente ignorata. La grande intuizione controculturale sta nell’aver compreso come la questione omosessuale sia rappresentata da persone all’interno della comunità cristiana da accogliere e non da un astratto e lontano problema culturale con cui scontrarsi”.
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