Firenze , mercoledì, 9. novembre, 2016 18:00 (ACI Stampa).
Fare memoria “della devastazione che Firenze subì a causa della piena dell’Arno cinquant’anni fa porta a pensare innanzitutto alle vittime: 35 secondo gli elenchi ufficiali, probabilmente anche più; poi alle gravi sofferenze di tanti, di tutti i fiorentini in quei giorni: patimenti materiali e morali, privazioni e angosce, perdita di beni e soprattutto di memorie di una vita, per non pochi il successivo sradicamento dai luoghi familiari.
Alla sofferenza delle persone va aggiunta quella della città, le ferite inferte al suo volto, alla sua bellezza, la consapevolezza di una precarietà che da allora ci accompagna”: così l’arcivescovo di Firenze, card. Giuseppe Betori, ha fatto memoria dell’alluvione che travolse la città nell’omelia della Celebrazione eucaristica, celebrata nella basilica di Santa Croce, insieme al card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città di Castello, mons. Luciano Monari, vescovo di Brescia, e mons. Diego Coletti (vescovo emerito di Como) oltre a molti vescovi toscani.
Nell’omelia il card Betori ha sottolineato lo slancio dei giovani intervenuti a salvare la città: “Ma in quei giorni si manifestarono anche fatti di segno positivo. Anzitutto la fierezza e la dignità dei fiorentini, la loro volontà di non darla vinta alle acque limacciose, il coraggio di affrontare il futuro per difendere l'identità di questa città. Poi l'accorrere di tanti uomini e donne in nostro aiuto, soprattutto di giovani, che mostrarono una generosità commovente, ma anche la consapevolezza che perdere Firenze e i suoi tesori, di umanità e di arte, sarebbe stata una rovina irreparabile per l'umanità tutta.
Ne scaturì una condivisione della sofferenza e una dedizione di solidarietà che si manifestarono per la prima volta nel nostro Paese, per poi riapparire, in forme sempre più organizzate, nelle altre catastrofi naturali in questi anni, anche in questi giorni nel funesto sisma dell’Appennino centrale, in Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo. Questi nostri fratelli ci sentano vicini, io sono nato in Umbria, e sappiano che possono contare sulla presenza operosa dei nostri volontari Il Paese tutto si senta impegnato a far rinascere quei luoghi con il volto che li ha connotati nei secoli”.
Infine ha ricordato che le alluvioni non sono frutto di fatalismo, ma di responsabilità umana: “Uscire dall'alluvione significa oggi guardare con coraggio a una rinnovata missione umanistica, con il rigore della denuncia e l'ardire della novità, ‘in questo tornante della storia che, secondo le parole del poeta Mario Luzi, si affaccia su un orizzonte di incommensurabili pericoli e di inestimabili promesse che concernono la nuda creatura umana’. ‘Tra inquietudine e speranza’, volgiamo lo sguardo al nostro futuro e assumiamo le nostre responsabilità di riedificazione dell’umano che è in noi e tra noi, a immagine di Cristo, il Dio fatto uomo, che compì se stesso nel dono supremo e che, qui effigiato da Cimabue, deturpato dall'alluvione, rinato da mani sapienti, porta ancora i segni delle sue ferite, ma non cessa di proporsi come la nostra pienezza, ricordandoci che si è uomini se lo si segue, nel dono di sé e nello sguardo che si consegna alla risurrezione, si innalza verso un destino eterno”.