Come lavora la Chiesa in Africa? Alcune cifre sono state fornite qualche tempo fa dal Cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e prossimo prefetto del nuovo dicastero, che in un recente convegno ha quantificato le strutture sanitarie della Chiesa in Africa, dove – secondo dati aggiornati al 2014 - la Chiesa ha 1298 ospedali, 5256 dispensari, 29 lebbrosari, 632 case di riposo per anziani, disabili o persone con malattie croniche.
Monsignor Mupendawatu sottolinea che “nel mondo della sofferenza e della salute c’è stata e c’è sempre la Chiesa. Da quando abbiamo cominciato la conferenza stampa ci sono almeno 3-4-5 nuovi dispensari o maternità che sono aperti da missionari, anche in un posto poco conosciuto nel mondo. Ancora oggi, in alcuni Paesi, la Chiesa supplisce alla mancanza di presenza delle istituzioni. Pensiamo solo a quello che è stato fatto per combattere l’Ebola in Sierra Leone, Guinea, Liberia”.
La cura delle malattie rare è “opera di misericordia corporale”, c’è una urgenza di misericordia “specialmente per i decisori sanitari”, afferma monsignor Mupendawatu, che sottolinea che ci sono oltre 200 partecipanti ad una conferenza che avrà anche una mostra collegata.
Quale è il filo conduttore dei lavori? Mons. Mupendawatu le sottolinea in tre parole: riformare, curare e custodire. In pratica, si tratta di andare a rivedere i sistemi, curare la persona umana, custodire l’ambiente. L’approccio è quello di una ecologia umana, che miri proprio all’aiuto degli ultimi.
“Le malattie tropicali neglette – dice padre Chendi – pur nella dimenticanza dei mezzi di comunicazione sociale e di gran parte dell’opinione pubblica, incidono su un numero considerevole di popolazione povere e vulnerabile, che solitamente vivono in zone rurali tra le più remote del mondo, nelle zone di conflitto e nelle baraccopoli urbani”.
Sono patologie che sono “pressoché debellate” nei Paesi ad alto reddito, cui ha dato voce solamente la Chiesa con una “poco conosciuta opera capillare sul campo”, e una “risonanza incisiva come animazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni specificamente preposte alla salute nel contesto nazionale e internazionale”.
Per quanto rare, le malattie vanno affrontate e i malati curati, e la Chiesa non manca di ricordarlo “alla scienza, come ai legislatori e ai responsabili socio-economico, di porsi al servizio del bene comune, particolarmente nel farsi carico anche di patologie ‘rare’, per le quali il solo investimento finanziario per la ricerca difficilmente potrà essere adeguatamente compensato da un congruo ritorno economico”.
Il tema è quello dei “farmaci orfani”, che non “incontrano l’impegno nella ricerca e l’interesse economico delle industrie del farmaco” perché vanno a curare malattie molto rare e infrequenti.
Il Dottor Marco Tartaglia, Responsabile dell’Area di Ricerca Malattie Genetiche e Malattie, sottolinea che “in passato non si è molto investito sulle malattie rare, ma ora la tendenza sembra cambiata”. E il Dott. Claudio Giustozzi, Segretario Nazionale dell’Associazione Culturale “Giuseppe Dossetti: i Valori-Sviluppo e Tutela dei Diritti” ONLUS ricorda che già nel 2003 in Italia c’è stata una proposta di legge per le malattie rare, ma chiede che si debba instaurare “un tavolo di lavoro indipendente dove le associazioni abbiamo un peso dove si possa indicare la strada giusta. Questa è la fotografia del nostro Paese e il nostro Paese è evoluto”.
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Alla fine, la cura delle malattie rare e neglette, l’impegno per gli ultimi anche se non economicamente rilevanti, rimandano ai principi di “solidarietà” e “sussidiarietà” della Caritas in Veritate. È una società che si occupa degli ultimi che crea il bene comune, e, dunque, la pace.