Erbil , giovedì, 27. ottobre, 2016 18:00 (ACI Stampa).
Non è ancora terminata la battaglia nella piana di Ninive e per la riconquista della città di Mosul, e i cristiani in Iraq vivono in un misto di sofferenza e di speranza. La sofferenza per i luoghi della loro fede depredati, e spesso utilizzati come postazioni di combattimenti. La speranza per una liberazione che ormai da un anno si dice vicina, ma poi non avviene mai, tanto che il patriarca caldeo Sako vorrebbe proclamare il 2017 come “anno della pace”.
Padre Basa, uno dei testimoni che Aiuto alla Chiesa che Soffre portò al Meeting di Rimini per raccontare il drama dei cristiani perseguitati in Iraq, ha 38 anni e viene da Erbil. Racconta ad ACI Stampa le sensazioni dei cristiani iracheni, mostrando le foto dei luoghi di culto distrutti e abbandonati e guardando le notizie che raccontano di come il sedicente Stato Islamico si difenda con tutte le sue forze, arrivando persino ad inviare squadre suicide dalla Siria.
Padre Basa racconta: “I sentimenti dei cristiani iracheni, in questi giorni della battaglia per liberare la pianura di Ninive e la città di Mosul, sono misti”.
C’è “la tristezza, perché di nuovo c’è guerra”, e “la gioia, perché finalmente arriva il giorno della liberazione delle loro terre di origine”. E ancora, la sofferenza perché “vedono in diretta che le loro terre, case e chiese” vengono usate come campi di battaglia e “l’amarezza perché vedono, dopo due anni e tre mesi, le loro chiese antichissime e bellissime profanate, bruciate e sulle loro pareti frasi che esprimono odio, razzismo, discriminazione, persecuzione ...”
Nonostante tutto, racconta ancora padre Basa, i cristiani iracheni “sono fieri di essere cristiani” e di “non aver rinunciato alla loro fede in Cristo, pure a costo di rinunciare a tutto”.