Nel suo articolato discorso il Papa invita la Compagnia a "consolare il popolo fedele" e a "aiutare con il discernimento affinché il nemico della natura umana non ci sottragga la gioia: la gioia di evangelizzare, la gioia della famiglia, la gioia della Chiesa, la gioia del creato… Che non ce la rubi né per scoraggiamento di fronte alla grandezza dei mali del mondo e ai malintesi tra coloro che si propongono di fare il bene, né che ce la rimpiazzi con le gioie fatue che sono sempre a portata di mano in qualsiasi negozio. Questo servizio della gioia e della consolazione spirituale è radicato nella preghiera".
Bisogna - aggiunge Papa Bergoglio - "praticare e insegnare questa preghiera di chiedere e supplicare la consolazione è il principale servizio alla gioia. La gioia non è un di più decorativo, è chiaro indice della grazia: indica che l’amore è attivo, operante, presente. Perciò il cercarla non va confuso con il cercare“un effetto speciale, che la nostra epoca sa produrre per esigenze di consumo, bensì la si cerca nel suo indice esistenziale che è la permanenza".
In definitiva - prosegue il ragionamento di Francesco - la "gioia dell’annuncio esplicito del Vangelo mediante la predicazione della fede e la pratica della giustizia e della misericordia è ciò che porta la Compagnia ad uscire verso tutte le periferie. Il gesuita è un servitore della gioia del Vangelo, sia quando lavora artigianalmente conversando e dando gli esercizi spirituali a una sola persona, sia quando lavora in maniera strutturata organizzando opere di formazione, di misericordia, di riflessione, che sono prolungamento istituzionale di quel punto di inflessione in cui si dà il superamento della propria volontà ed entra in azione lo Spirito".
Guardando il Crocifisso il gesuita si deve commuovere. Il Papa ne è convinto. E guardando a Lui guardiamo ai "tanti nostri fratelli che soffrono – la grande maggioranza dell’umanità! Il Giubileo della Misericordia è un tempo propizio per riflettere sui servizi della misericordia. Lo dico al plurale perché la misericordia non è una parola astratta ma uno stile di vita, che antepone alla parola i gesti concreti che toccano la carne del prossimo e si istituzionalizzano in opere di misericordia. Per noi che facciamo gli Esercizi, questa grazia mediante la quale Gesù ci comanda di assomigliare al Padre inizia con quel colloquio di misericordia che è il prolungamento del colloquio con il Signore crocifisso a causa dei miei peccati".
La missione è sempre la stessa. "Il Signore - dice il Papa - che ci guarda con misericordia e ci sceglie, ci invia per far giungere con tutta la sua efficacia la stessa misericordia ai più poveri, ai peccatori, agli scartati e ai crocifissi del mondo attuale che soffrono l’ingiustizia e la violenza. Solo se sperimentiamo questa forza risanatrice nel vivo delle nostre stesse piaghe, come persone e come corpo, perderemo la paura di lasciarci commuovere dall’immensità della sofferenza dei nostri fratelli e ci lanceremo a camminare pazientemente con la nostra gente, imparando da essa il modo migliore di aiutarla e servirla".
Il Papa spiega ancora: "è proprio della Compagnia il servizio del discernimento del modo in cui facciamo le cose. Questa grazia di discernere che non basta pensare, fare o organizzare il bene, ma bisogna compierlo con buon spirito, è quello che ci radica nella Chiesa, nella quale lo Spirito agisce e distribuisce la diversità dei suoi carismi per il bene comune. E’ proprio della Compagnia fare le cose sentendo con la Chiesa. Fare questo senza perdere la pace e con gioia, considerati i peccati che vediamo sia in noi come persone sia nelle strutture che abbiamo creato, implica portare la Croce, sperimentare la povertà e le umiliazioni".
"Il servizio del buon animo e del discernimento - conclude il Papa - ci fa essere uomini di Chiesa – non clericali, ma ecclesiali – uomini per gli altri, senza alcuna cosa propria che isoli ma mettendo in comunione e al servizio tutto ciò che abbiamo. Non camminiamo né da soli né comodi. Camminiamo facendoci tutto a tutti cercando di aiutare qualcuno. Questa spogliazione fa sì che la Compagnia abbia e possa sempre avere il volto, l’accento e il modo di essere di tutti i popoli, di ogni cultura, inserendosi in tutti, nello specifico del cuore di ogni popolo, per fare lì Chiesa con ognuno di essi, inculturando il Vangelo ed evangelizzando ogni cultura".
La Compagnia proceda - è la preghiera finale di Francesco - su un percorso che "sia ecclesiale, inculturato, povero, servizievole, libero da ogni ambizione mondana".
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