E avete già un piano per questa valorizzazione?
Ancora no. Ma la prima cosa da fare è rileggere tutti i discorsi. Un conto è ascoltarli e un conto è rivederli. Mi sono detto: è compito nostro farli diventare profondamente conosciuti, e sicuramente faremo nella comunità una riflessione su quello che ci ha detto il Papa.
Papa Francesco e il Patriarca Ilia II sono sembrati a loro agio l’uno vicino all’altro. Il Papa, salutando il Patriarca in aereo, gli ha anche parlato lungamente nell’orecchio. C’è possibilità di una nuova primavera ecumenica?
Io sono fiducioso sempre. Dopo che il Papa è partito – ero in aeroporto ad accompagnarlo – sono andato dal Patriarca e gli ho detto: “Ma lei è davvero contento di quello che è successo, di questa visita?”. E lui mi ha detto: “Sono molto contento che sia venuto qui. Ho scoperto una persona molto brava”. È successa la stessa cosa sabato, mentre ero in macchina con il Santo Padre. Il Papa, chiacchierando, mi ha detto: “Ma lei sa che questo patriarca è una brava persona?” I due hanno usato le stesse parole, senza sapere l’uno dell’altro.
Il Papa dice che l’unità non passa attraverso le riflessioni teologiche, ma attraverso le amicizie che sappiamo fare…
È vero. Ma come Chiesa locale occorre di più. Dobbiamo anche fermarci a fare altre riflessioni. Perché io credo che un terzo delle persone che sono venute alla Messa del Papa allo stadio erano ortodossi amici, cioè gente che sta volentieri con noi, che riflette con noi: c’è una parte di Chiesa ortodossa molto vicina a noi. Ma dobbiamo anche risolvere i problemi che abbiamo tra noi, parlarci e chiarire le cose, altrimenti c’è il rischio di essere superficiali.
Quali sono i problemi?
Per esempio quello dei ribattesimi. Perché io devo essere ribattezzato? Non dico che se ne debba parlare a livello mondiale, ma almeno tra di noi. Io ne parlavo con un vescovo ortodosso una volta, e gli ho detto: “E’ brutto che non venga riconosciuto il mio battesimo”. Lui replicò che il sinodo aveva deciso così. Allora io ho risposto a mio volta: “Ma quindi io non sono cristiano… e nemmeno il Papa è cristiano… ma il Papa sarà un po’ cristiano?” E lui: “Ma voi siete cristiani perché credete in Gesù Cristo.” Allora ho risposto che no, il catecumeno crede in Gesù Cristo, ma finché non è battezzato non è un cristiano. Al che, lui ha concesso che è vero, che bisogna riflettere a fondo sul tema. Per dire, c’è bisogno anche di passaggi più profondi.
Eppure i rapporti tra la Chiesa Ortodossa Georgiana e la Chiesa Cattolica per anni sono stati buoni. Il Patriarca Ilia II fu il primo patriarca georgiano ad andare a Roma, nel 1980, in piena era sovietica. Poi è successo qualcosa. Ma cosa?
Da quello che ho capito io, è entrato un certo tipo di pensiero arrivato da alcuni preti legati alla Chiesa ortodossa russa, che era più chiusa della Chiesa ortodossa georgiana. I georgiani non si può dire fossero aperti, ma diciamo che erano liberali. È una caratteristica dell’animo georgiano, di essere tollerante verso tutti. Poi sono arrivati alcuni nei seminari ad insegnare dei fondamenti teologici per cui bisogna essere divisi. È successo una ventina di anni fa.
E il Patriarca Ilia II non è riuscito a fare nulla per risolvere la questione?
È successo che già prima erano partiti alcuni studenti per studiare a Roma, mentre da alcuni monasteri arrivava la linea che non doveva continuare nel cammino ecumenico, e il Patriarca, per salvare l’unità della Chiesa, ha fatto secondo me dei passi indietro rispetto al suo modo di pensare.
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Lei è in Georgia ormai dal 1993. Come è cambiata la comunità cristiana in questi anni?
È stato un cammino bello, entusiasmante. Siamo partiti da zero. C’erano le comunità cristiane, ma abbiamo dovuto insegnare di nuovo la Messa. L’unica cosa fondante era il Rosario. Quindi abbiamo rifatto il Messale, impostare la catechesi. Un grande lavoro, vissuto con entusiasmo. Facevamo incontri con 400 giovani! Poi le cose diventano normali, e allora bisogna imparare a sedimentare tutto. Stiamo continuando sulle indicazioni che ci siamo dati nel Sinodo che abbiamo convocato nel 1998, che fu una esperienza di Chiesa bellissima. Forse ora c’è meno entusiasmo. Ma è come un aereo: si alza in volo velocemente, ma poi bisogna tenere la rotta. Io non sono preoccupato. È importante che la Chiesa abbia la direzione giusta, poi si può anche fare fatica, a volte si devono fare soste. Ma se la direzione è giusta, prima o dopo si arriva.
Giovanni Paolo II visitò il Paese nel 1998. Quanto questo aiutò?
Quella visita mostrò la realtà della Chiesa cattolica a livello nazionale, perché prima non se ne sapeva nulla. È stata una visita più positiva per la realtà della Chiesa locale che per il cammino ecumenico. Dopo la visita sono poi nate le difficoltà del cammino ecumenico, ci si è un po’ richiusi. Ora, questa visita del Papa ha portato molto entusiasmo, anche da parte dei non cattolici. Ma l’entusiasmo deve diventare quotidianità. Non dico non bisogni vivere con entusiasmo, ma dobbiamo anche vivere la responsabilità di quello che abbiamo ricevuto.
La Georgia appare ancora come un Paese povero, con un forte divario tra poveri e ricchi, quasi senza una classe media. E la Chiesa – si è visto nell’incontro del Papa al centro dei Camilliani – fa un grande lavoro per aiutare. Questo lavoro con i poveri porta anche a nuovi cattolici?
Non credo porti nuovi cattolici, e non è compito nostro creare nuovi cattolici. Non è per questo che lavoriamo con i poveri. Ma questo lavoro che facciamo contribuisce a creare relazioni. Ci sono state alcune, piccole contestazioni del viaggio del Papa, attaccando la comunità cattolica. Ma nella maggior parte dei casi, erano gli stessi ortodossi a non accettare la contestazione, a rispondere con forza che loro conoscevano il lavoro che faceva la Chiesa cattolica locale. E infatti c’erano, alla Messa allo stadio, dei seminaristi ortodossi, e anche un prete giovane ortodosso.