Lampedusa (AG) , martedì, 4. ottobre, 2016 11:00 (ACI Stampa).
Ormai i profughi che ogni giorno solcano il mar Mediterraneo per arrivare in Europa è difficile contarli, anche se chi abita a Lampedusa non perde la speranza di poter salvare tutti, come ci ha raccontato Pietro Bartolo, protagonista del film documentario ‘Fuocoammare’, vincitore dell’Orso d’oro a Berlino, e responsabile del presidio sanitario e del poliambulatorio di Lampedusa dell'ASP di Palermo.
E’ stato in prima fila nei soccorsi ai sopravvissuti della strage del 3 ottobre 2013 quando delle fiamme su un peschereccio all’Isola dei Conigli pieno di oltre 500 migranti, causarono 366 vittime, nonostante qualche settimana prima fossa stato colpito da un’ischemia cerebrale: “Nel 1991, avendo vinto un concorso pubblico, sono entrato a far parte del Sistema Sanitario Nazionale rivestendo da quella data la carica di Dirigente Medico presso il Presidio di Lampedusa.
Proprio nel 1991 Lampedusa è divenuta porta d’ingresso all’Europa per i numerosi migranti africani che da allora hanno iniziato a raggiungere le nostre coste. Fin da subito ho deciso di offrire volontariamente il mio contributo per accogliere e curare tutti coloro che si sono avventurati per mare alla ricerca di una vita migliore, e, ancora oggi, sono impegnato attivamente nell’accoglienza. Ho avuto la fortuna di salvare molte vite, far nascere bambini ma, allo stesso tempo, ho dovuto confrontarmi con circostanze meno liete quali quelle che mi hanno visto eseguire numerose ispezioni cadaveriche sui corpi di quanti non sono sopravvissuti alla traversata. Quindi l’inizio della mia carriera coincide con i primi sbarchi, sui quali c’è molta ignoranza o, se vogliamo, disinformazione. Infatti non molti sanno che il primo sbarco avvenne addirittura nel 1991, quando trovammo tre tunisini che si erano nascosti nell’hotel Medusa. Poi gli sbarchi continuarono, ma il vero balzo in avanti nel flusso di migranti si ebbe nel 2011, con la ‘Primavera Araba’ in Tunisia e poi con la caduta del regime di Gheddafi in Libia”.
Poi lascandogli la libertà di parola ci racconta, da protagonista, la tragedia avvenuta dieci giorni dopo di quella del 3 ottobre 2013: “L’11 ottobre 2013, 10 giorni dopo, è successa una disgrazia molto peggiore, in cui sono morte 1000 persone. Di questi me ne portarono 21 cadaveri e 9 vivi con un elicottero maltese; però l’incidente avvenne a 60 miglia nessuno si interessò… Nessuno li vuole perché dicono che portano malattie, come la scabbia, che si cura in cinque minuti. Io preferisco la scabbia, che non l’influenza, perché con quest’ultima si muore. La scabbia è una manifestazione come i pidocchi; si fa un trattamento di tre minuti e si guarisce. I migranti non portano le malattie, perché sono persone sane e noi gliele passiamo.
Quando arrivano in Libia, se li spartiscono le tribù, perché debbono fare soldi; e se non hanno i soldi per il riscatto gli tolgono gli organi, oppure li chiudono nei campi di concentramento e li affittano ad € 5000 per sei mesi facendoli lavorare nei campi. Una volta sfruttati li liberano verso il mare, dove sono presi da altri, che li schiavizzano. Quindi sono persone forti e sane. Per 25 anni ho lavorato nel molo, in cui sbarcavano i migranti, e nessuno se ne è accorto; se ne doveva accorgere un regista!.. Il problema non è l’accoglienza, che facciamo bene. Il problema è la seconda accoglienza”.