È una idea che si respira ad Assisi, al termine di quattro giorni di riflessioni per la pace. “Dialogo” è la parola che si sente più spesso, e gli invitati che si recano all’incontro con il Papa sono quasi tutti stranieri. Tra i musulmani, una delle persone più in vista è Muhammad Abdul Khabir Azad, grande Imam della moschea di Lahore: era amico di Shahbaz Bhatti, e tra quelli nel mondo islamico pronti a difendere i cristiani, nonostante la difficile situazione del Pakistan.
Ma è da notare la presenza ad alti livelli anche della moschea di al Azhar, rappresentata non dal Grand Imam, come si pensava, ma c’è il vicepresidente Abbas Shuman. E il mondo sunnita ha recentemente fatto un grande passo in una conferenza di Grozny, in Cecenia, dichiarando che l’Islam wahabita, quello più estremo nella dottrina e nelle conseguenze, è da considerarsi fuori dalla sunna.
La battaglia per l’abolizione della pena di morte è rappresentata da Tamara Chikunova, uzbeka e fondatrice dell’associazione “Madri contro la pena di morte e la tortura”: suo figlio fu sottoposto a pena capitale. È tra coloro che il Papa saluta al momento dell’arrivo. E ci sono anche gli amici del Papa, il rabbino Abraham Skorka e l’imam Omar Abboud, protagonisti in Argentina del cosiddetto “trialogo” con l’allora arcivescovo di Buenos Aires.
Le ultime relazioni della mattina prima dell’arrivo del Papa si concentrano sui temi della misericordia e dell’amore. Il metropolita Atenagora del Belgio parla di un ecumenismo della misericordia, perché “se noi meditiamo un po’ il grande mistero della comunione dei santi di Oriente e Occidente, comprendiamo che i muri della separazione tra le Chiese non arrivano mica fino al cielo. Il metropolita Ioan di Romania, dal canto suo, ha parlato “del mondo dell’amore creato da Dio e del mondo del pianto creato dall’uomo”.
Sono queste le persone e i temi che preparano la preghiera per la pace, a 30 anni dalla prima volta con San Giovanni Paolo II. Intanto, in 250 pranzano con il Papa, e tra loro anche 12 rifugiati provenienti da Paesi in guerra ed accolti dalla comunità di Sant’Egidio.
“Tra di loro – si legge in una nota stampa della Comunità - Rasha, con la figlia Janin di sette anni, arrivate in Italia nello scorso febbraio con i corridoi umanitari di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche e Tavola Valdese. Di origine palestinese, vivevano in un campo profughi alla periferia di Damasco fino alla fuga in Libano”.
E poi, cinque cristiani umanitari arrivati con i corridoi umanitari: i cattolici assiri Fadi e Ruba, che col figlio undicenne Murkus, sono fuggiti da Hasake; i cattolici armeni Osep, Kevork e Tamar, che più tardi interverrà sul palco della cerimonia conclusiva, testimoniando sulla sofferenza della sua città, Aleppo.
Infine, Paulina ed Evalyn, che vengono dalla regione nigeriana insanguinata da Boko Haram, Enes che viene dall’Eritrea e Alou, un 23enne del Mali sopravvissuto a un terribile viaggio su un barcone dalla Libia alla Sicilia.
Ma prima il Papa ha incontrato uno ad uno i capi delle varie confessioni religiose. Per dire insieme un no alla guerra e predisporre i cuori alla pace. E a pranzo, l'abbraccio con il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, che è stato ad Assisi per tutto il tempo del convegno e che ha ricevuto ieri la laurea honoris causa dell'Università per Stranieri di Perugia per "essere stato un vero costruttore di ponti".
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