Roma , venerdì, 2. settembre, 2016 14:00 (ACI Stampa).
«Tu fai quello che io non posso fare. Io faccio ciò che tu non puoi fare»[1], questo era il saluto abituale di Madre Teresa di Calcutta a Chiara Lubich ogni volta che la incontrava, e le occasioni sono state molte.
Parole che narrano la “semplice complessità” della loro amicizia, «grande, intima, profonda» dirà la Lubich.
Così questa descrive il loro incontro avvenuto a fine maggio 1997, presso una povera palazzina del Bronx, a New York, in una cella del convento delle Missionarie della Carità.
«Ebbi un colloquio con lei prolungato e indimenticabile. Era a letto con forti dolori alla schiena, in un ambiente povero (…). L’incontro era stato un’eccezione date le sue precarie condizioni di salute. Privato, gioiosissimo. (…) Poi cominciò a parlare e parlare. Era la fondatrice di un’Opera di Dio che parlava ad un’altra, ben più indegna, e poteva comunicarle i frutti di tutta la sua vita: case di vita contemplativa e attiva (...), diffusione in 120 paesi, progetti ostacolati da governi (…). Parlava del quarto voto che prevede di servire con tutto il cuore i più poveri dei poveri, dei moribondi accompagnati in Paradiso (…). Era il suomagnificat. I pochi minuti concessi dal medico diventarono venti. Peccato che non si sia potuta scattare nessuna foto della Vita che c’era in quella stanza, di quel colloquio che aveva sapore di Paradiso. Poi ci lasciammo, abbracciandoci. Non dimenticherò mai quel volto e quella gioia (…). Sono contenta di averla conosciuta e di averla avuta così vicino. Ho cominciato a pregare non tanto per lei, ma lei per tutti noi».[2]
E aggiungeva in un’altra occasione: «Ha realizzato quello che il Papa [Giovanni Paolo II] definisce genio femminile, che sta proprio in ciò che Maria aveva di caratteristico. Lei non era tanto investita da un ministero, ma (...) era investita dall’amore, dalla carità, che è il più grande dono, il più grande che viene dal cielo»[3].