Città del Vaticano , sabato, 2. maggio, 2015 7:16 (ACI Stampa).
“Junipero Serra è stato un eroe dell’evangelizzazione. È vero che è un santo tipicamente americano, ma proprio in questo suo eroismo missionario possiamo trovare la ragione per cui lui è un santo universale, un santo che può dire tanto all’Europa.” Monsignor Francis Webber, a lungo archivista dell’arcidiocesi di Los Angeles, spiega così ad AciStampa le ragioni per cui il frate francescano è un esempio per tutti. Papa Francesco lo canonizzerà a Washingtono, il 23 settembre.
Non si sa ancora se nel Campidoglio di Washington ci sarà ancora la statua di Junipero, che la California fece installare nella Sala dei Notabili nel 1931, come uno delle persone fondamentali nella storia dello Stato insieme a Ronald Reagan. Perché due senatori hanno proposto di rimuoverla, per fare spazio ad una astronauta. È l’ultima parte di una polemica lunga secoli, che ha visto Fray Junipero messo sotto attacco per i metodi di evangelizzazione.
Ci ha pensato un gruppo di esperti dalla California a contestare le critiche a Junipero Serra, in una conferenza / congresso all’Augustinianum lo scorso 30 aprile. Hanno raccontato come Fray Junipero sia stato con gli indigeni, abbia imparato la loro lingua, avviò con i nativi americani i primi rudimenti di scienza. Prima si inssediò a Veracruz, poi andò più a Nord, a sostituire i gesuiti che erano stati espulsi dai territori della Corona Spagnola.
Una vita spesa per gli altri, tanto che “la gente all’epoca già lo considerava santo,” hanno spiegato Robert Senkewicz, professore di Storia alla Santa Clara University di California, e Rose Marie Beebe, professore di Letteratura spagnola allo stesso ateneo, marito e moglie nonché autori della recente biografia di Junípero Serra “California, Indians, and the Transformation of a Missionary” (University of Oklahoma Press, 2015), I due hanno tratteggiato il profilo dell’uomo e del missionario Serra, ne hanno ricordato il senso dell’umorismo, anche il modo duro con cui si era opposto al governo della California che sfruttava gli indigeni. Ma non hanno nascosto il tema controverso dei maltrattamenti nei confronti dei nativi americani.
Si parla di “flagellazioni” avvenute come punizione per aver abbandonato la missione. I due sposi e storici spiegano che “per i due missionari dell’epoca il Battesimo implicava fedeltà alla comunità,” e dunque quando qualcuno degli “indiani” scappava, c’era anche una punizione corporale. “Ma la canonizzazione non significa un apprezzamento dell’intero sistema delle missioni,” dicono.