Cracovia , venerdì, 29. luglio, 2016 15:00 (ACI Stampa).
Auschwitz, perché il silenzio del Papa? "Perché il Papa ha preso sul serio questa grande ferita del mondo", afferma padre Manfrend Deselaers, vicedirettore della fondazione “Centro per il Dialogo e la Preghiera” dedicato alla riconciliazione Tedesco-Polacca e al Dialogo Cristiano-Ebraico. Durante la visita, il Papa ha incontrato anche alcuni sopravvissuti: le loro testimonianze sono materia che brucia.
Papa Francesco è il primo Papa a non dire nulla ad Auschwitz. Ma per padre Desealers questo è significativo. “In un certo senso, il Papa dice molto, perché non dire niente non significa non dire nulla. C’è il silenzio vuoto, ma c’è anche il silenzio pieno, e questo è un silenzio pieno”.
È un silenzio che vince, dice padre Deselaers, perché “anche nella visita di Benedetto XVI, ci fu un momento di silenzio, una preghiera. Ma poi tutti si concentrarono su quello che aveva detto o non aveva detto il Papa. Quel momento di silenzio andò perduto. Ed è molto importante. Rimanendo in silenzio, Papa Francesco ha preso sul serio questa ferita del mondo”.
Ad Auschwitz si incrociano la domanda su Dio e la domanda sull’uomo. “Benedetto XVI – dire Deselaers – ha chiesto di Dio, Papa Francesco ha chiesto dell’uomo nel messaggio scritto durante la visita allo Yad Vashem. Sono entrambe domande fondamentali”.
Deselaers conosce bene la difficoltà del processo di riconciliazione che è seguito ad Auschwitz, con il grande lavoro portato avanti dal Cardinale Boleslaw Kominek che promosse la lettera di riconciliazione con l’episcopato tedesco. Secondo padre Desealers, la lettera del Cardinale Kominek “sottolineava un dato fondamentale: che le relazioni tra le persone non devono essere del tutto chiuse per gli errori del passato”.