Cairo , lunedì, 18. luglio, 2016 10:00 (ACI Stampa).
C’è il martirio del sangue. Ma c’è anche il martirio silenzioso. C’è il martirio di coloro che vengono uccisi per la fede. E c’è il martirio di coloro che vengono messi ai margini perché cristiani. Tutti accomunati da un dato: “Sono tutte vittime di eresie dell’amore”. Prova a spiegarlo ad ACI Stampa don Paolo Asolan, docente di Teologia pastorale fondamentale presso la Pontificia Università Lateranense. Di ritorno da un viaggio in Egitto, don Asolan porta con sé l’esperienza dell’incontro con la famiglia di uno dei 21 egiziani copti decapitati da membri dell’autoproclamato Stato islamico su una spiaggia di Libia lo scorso febbraio.
“I martiri – spiega don Asolan – sono testimoni di Gesù, di uno che ha detto ‘Io sono la verità’. E proprio in quanto testimoni di Gesù pongono la questione della verità. Nel martirio si manifesta un atto di amore, una misura di amore, che la ragione umana ha bisogno di integrare per poter essere fino in fondo se stessa. Appartiene alla pienezza della verità una conversione dell’amore. Ma oggi viviamo un tempo di eresie dell’amore; ci sono sempre state le eresie cristologiche, trinitarie… ma questo pare un tempo di eresie nuove, che non riguardano la fede, ma l’amore. Ed è proprio in nome dell’amore che si rinnega la verità, cioè Cristo”.
È in nome dell’amore che hanno verso Dio che dei musulmani promuovono l’uccisione di chi crede diversamente da loro, non meno che in Europa gente emancipata dalla religione uccide con l’aborto o l’eutanasia e tuttavia in nome dell’amore per l’uomo… C’è una “compassione” armata che pretende di selezionare quali siano gli individui degni della vita, giudicando una crudeltà la fede o l’adesione alla realtà, a quel che l’essere umano è in quanto creato da Dio. Eresie talora bandite in nome di un’obbedienza irragionevole ad un “dio” che vorrebbe la morte e non la vita, come è successo per i 21 martiri egiziani. “Ero in Egitto, per un giro che aveva lo scopo di conoscere le varie realtà pastorali dei frati minori. Mi sono trovato nella provincia centrale di Minia, e ho chiesto di poter andare in questo villaggio. Lì stanno costruendo una nuova chiesa dedicata ai martiri di Libia, perché 15 di quei 21 martiri provengono proprio da qui. Ho chiesto di poter conoscere la famiglia di Milad, perché mi aveva molto colpito, guardando il video, il fatto che mentre aspettava l’esecuzione, pregasse invocando il nome di Gesù. È morto con quel nome sulle labbra, è vissuto ed è morto per Lui”.
Un episodio che ha scioccato profondamente il paese egiziano, tanto che la chiesa che viene costruita in memoria dei martiri è finanziata dallo Stato, e “in un Paese dove anche un lavoro minimo per una chiesa cristiana deve essere approvato dal competente ufficio presso la Presidenza della Repubblica, il fatto che la chiesa sia finanziata proprio dalla Presidenza testimonia l’impatto che ha avuto la vicenda in tutto il popolo egiziano”.
E dire che la realtà egiziana è abituata e per certi versi convive da sempre con il martirio. “Si può dire – afferma don Asolan – che la fede dei cristiani copti si regga su due cardini: il monachesimo e il martirio. Si trovano molte sepolture di santi martiri in giro, spesso proprio nei monasteri del deserto. Per loro, la prospettiva del martirio non è remota, ma sempre possibile”.