New York City, New York , lunedì, 18. luglio, 2016 14:00 (ACI Stampa).
Non c’è solo l’appello a un rinnovato ruolo delle religioni nella pace, diventato uno dei temi centrali della diplomazia della Santa Sede – un intervento simile era stato fatto a Ginevra, nemmeno sette giorni fa. L’Osservatore Permanente della Santa Sede a New York, l’arcivescovo Bernardito Auza, ha ribadito anche l’appello di Papa Francesco nel fermare la proliferazione delle armi e ha puntato il dito sulle armi sempre più sofisticate che vittimizzano le popolazioni.
L’offensiva diplomatica della Santa Sede per la pace nel conflitto israelo-palestinese sembra giocarsi sull’asse tra New York e Ginevra, ovvero tra due importanti sedi ONU in cui la Santa Sede è molto attiva. A Ginevra, l’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente, ha sottolienato il 29 giugno a un dibattito ad hoc sul tema del conflitto israelo palestinese che la risoluzione 181 delle Nazioni Unite sulla ripartizione della Palestina “resta realizzata solo a metà”, che “la soluzione dei due Stati è quella da sempre indicata dalla Santa Sede”, che Palestina e Israele devono fare i loro passi avanti per arrivare alla pace.
Gli stessi temi, quasi con le stesse parole, sono ripresi a New York dall’Arcivescovo Auza, che parla invece il 12 luglio a un dibattito del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite. “La pace duratura resterà un sogno distante e la sicurezza diventerà una illusione se Israele e la Palestina non accettano di vivere fianco a fianco, riconciliati e sovrani, con confini mutualmente riconosciuto e accettati”.
L’invito è a creare subito di due Stati, anche sperando che un Israele pacificato possa essere di esempio alla Regione. E in fatti l’arcivescovo Auza parla anche della situazione in Siria, che “continua ad essere una delle indicibili sofferenze per il popolo siriano ucciso, forzato a sopravvivere sotto le bombe o a scappare ad aree meno in conflitto”.
La delegazione della Santa Sede chiede di puntare l’attenzione sulla persecuzione dei cristiani – anche in questo caso, da Ginevra lo scorso anno c’è stato un impegno diplomatico che ha portato al primo documento internazionale in cui questa persecuzione era esplicitamente menzionata – e chiede alle religioni di fare la loro parte. È la cosiddetta “track two diplomacy”, diventato uno dei cuori del Pontificato: ne ha parlato l’arcivescovo Jurkovic il 29 giugno, e la Santa Sede la mette in atto concretamente con le iniziative del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso – l’ultima è la ripaertura del dialogo con l’Islam sunnita, con gli incontri all’università al Azhar al Cairo.