Erevan , giovedì, 30. giugno, 2016 9:00 (ACI Stampa).
Tutto ruota intorno ad una parola: genocidio. Perché non c’è dubbio che milioni di armeni furono deportati, a più riprese, dal XIX secolo in poi, fino ai tragici fatti del 1915. C’è così poco dubbio che persino i turchi ne processarono e condannarono i responsabili, prima dell’arrivo della Turchia laica e moderna targata Kemal Ataturk. Tutto sta nel modo in cui definire quei “tragici fatti”. Ovvero, su come parlare della scomparsa di un milione e mezzo di persone. Per gli armeni non c’è dubbio: è genocidio. Per la comunità internazionale: dipende. Per i turchi, non fu genocidio, perché durante quei fatti non morirono solo gli armeni.
Dietro quella parola, il peso di relazioni internazionali ambigue e palesi. L’ambiguità delle nazioni che – come ha detto Papa Francesco – “si sono girate dall’altra parte”. Durante il suo viaggio in Armenia, il Papa ha menzionato due volte il genocidio: senza preavviso nel discorso alle autorità civili in Armenia e poi nella dichiarazione congiunta con il Catholicos Karekin II, anche quella arrivata quando ormai non si pensava più ci sarebbe stata.
Per il "popolo del libro", riconoscere il genocidio è ricostruire la loro storia. È dare dignità ad una parte di identità. Secondo Gaghik Baghdassarian, traduttore raffinato e già ambasciatore dell’Armenia presso l’Italia, “è importantissimo che il Papa ne abbia parlato. Usare il termine è importante, perché il termine che dice tutto”.
Per questo motivo, quando era ambasciatore, Baghdassarian si è impegnato in un instancabile tour in tutta Italia, supportato dalla grande comunità di intellettuali armeni, e accompagnando una mostra fotografica curata dal console Pietro Kuciukian e da sua moglie Annamaria Samuelli che presentava le foto di Armin Wegner, tra i primi ad alzare il velo sul tema del genocidio. Un lavoro corale, che ha fatto sì che comuni, regioni e altri enti pubblici riconoscessero il genocidio in mozioni e documenti, fino al riconoscimento della Camera dei Deputati, con una mozione portata avanti da destra e sinistra. Un lavoro cui ha contribuito anche l'Associazione di Amicizia Italo-Armena Zatik, parola che in Armenia significa sia "pasqua" che "coccinella".
Si tratta della necessità di mantenere una memoria viva. Quando Adolf Hitler progettò la soluzione finale, e gli obiettarono che lo sterminio di milioni di ebrei non sarebbe passata inosservata, questi rispose: “Chi si ricorda dello sterminio degli armeni?” E questa frase campeggia al termine del percorso del Museo del Genocidio, annesso al memoriale di Tsitsernakaberd, dove il Papa è andato per una preghiera silenziosa ed ecumenica.