Città del Vaticano , lunedì, 30. maggio, 2016 15:00 (ACI Stampa).
Non è esattamente uno dei quei capolavori universali per i quali si fa la fila all’ingresso dei Musei Vaticani. Ma la Galleria dei Candelabri, la porzione del lungo corpo architettonico che collega i Palazzi Pontifici e la Cappella Sistina con il Museo Pio-Clementino, fino all’atrio dei Quattro Cancelli, un tempo ingresso principale dei Musei, custodisce uno dei rari capolavori del classicismo romano.
A metà del ‘500 era una loggia aperta affacciata sulla parte più elevata del Cortile del Belvedere. Poi nel 1785 Papa Pio VI la volle trasformare in una Galleria chiusa. Settanta metri in sei campate sostenute da coppie di colonne doriche e grandi Candelabri in marmo bianco, che diedero il nome, ancora oggi in uso, alla Galleria. Ma fu Leone XIII a fine ottocento a ridecorare completamente l’intero ambiente, per sviluppare le linee programmatiche del suo pontificato attraverso la pittura.
Anche il pavimento fu decorato con marmi e stemmi e per la parte pittorica vennero chiamati Annibale Angelini di Perugia, i romani Domenico Torti e Ludovico Seitz. I tre artisti furono affiancati da una schiera di esperti artigiani: scalpellini, marmorari, stuccatori e doratori che avevano lavorato nei maggiori cantieri romani e vaticani degli ultimi anni del pontificato di Pio IX.
Una bella sfida quindi quella di restaurare e recuperare i segni del tempo in una struttura decorativa così complessa. Il Laboratorio Restauro Dipinti dei Musei Vaticani l’ha affrontata. Le decorazioni della Galleria sono il risultato dell’alternarsi di varie maestranze, che si sono avvicendate nella direzione dei lavori dal 1883 al 1888. Normali quindi le sovrapposizioni sia delle pitture che delle dorature.
Leone XIII, sceglie un programma decorativo che spieghi il compito che la Chiesa doveva svolgere nella società moderna, in rapida e costante trasformazione. A partire dall’enciclica Aeternis Patris (1879) articolata intorno al pensiero di San Tommaso d’Aquino, fino alla Rerum Novarum (1891), fondamento teorico della dottrina sociale cattolica, le pitture rendono evidentela posizione della Chiesa che non rinuncia ad affermare il proprio ruolo di guida nella scienza come nelle arti, nella giustizia sociale come nel progresso tecnico e industriale, grazie alla conduzione sicura della Fede.