“Gli storici ormai sanno che tra il XVI e il XIX secolo i confini erano mobili, porosi, ma bisognava capire come questo si riflettesse sul modo in cui gli appartenenti a confessioni religiose che ufficialmente restano in conflitto tra loro, immaginano gli altri”.
Quindi il sentire della gente comune?
“Sì, la quotidianità come si sviluppava. Ad esempio in uno dei saggi si spiega come fosse la rappresentazione del turco nelle ceramiche e nelle porcellane, piatti e bicchieri. Insomma un nemico militare e religioso si, ma anche qualcuno con cui si ha un contatto diretto”.
Al di là della grande storia ufficiale la storia piccola e quotidiana?
“Il Mediterraneo è uno spazio piccolo, e sappiamo che da una parte come dall’altra erano quotidiane le razzie di schiavi sulle coste, dalle navi, ma c’erano anche i commerci che funzionavano, quindi la continuità quotidiana di scambi è testimoniata in tanti modi. Uno degli studi più interessanti è quello delle conversioni che avvenivano con molta facilità”.
E come avvenivano?
“Conversioni all’ebraismo è difficile trovarne, ma è interessante trovare storie di musulmani che vengono fatti schiavi nelle galere in Europa, soprattutto nell’Italia del sud, ma anche ad Ancona. E nel mondo islamico non c’è un sistema organizzato di riscatto degli schiavi efficace come quello cristiano, organizzato con le confraternite che si occupa di questo. Lo schiavo deve riscattarsi da solo, ma è un processo lungo, o si converte al cristianesimo per uscire dalla galere, e magari diventare schiavo domestico, oppure in alcuni casi i musulmani si fingono ebrei, perché anche il mondo ebraico ha un sistema di riscatto che funziona molto bene”.
Le vostre ricerche cosa dimostrano?
“ Che ci sono molte storie incredibili di conversioni, in cui ci si adatta al gruppo di maggioranza di volta in volta. Alcuni sono adattamenti. Ci sono più di mille musulmani che si sono convertiti nella casa dei catecumeni e sono rimasti cristiani, altri magari sparivano. Ma la cosa straordinaria è come ci si conoscesse tra popoli e religioni. E questo è molto interessante per il mondo in cui viviamo oggi conoscere queste storie”.
Ci sono anche testimonianze legate a testi e manoscritti?
“ Certo. Uno studioso di manoscritti arabi della Biblioteca Corsiniana dei Lincei, che parla di traduzioni di testi in arabo e di come le stamperie romane poliglotte, come le medicee e quelle di Propaganda Fidae, traducendo per fornire ai missionari materiali in arabo, abbiamo imparato a conoscere il mondo islamico. E del resto il mondo islamico arriva moto tardi alla stampa, per motivi religiosi, per cui le edizioni di libri in arabo sono tutte europee per molto tempo.
Addirittura sono i fratelli Soncino che hanno fatto le primi stampe in ebraico, poi non sostengono più la concorrenza degli stampatori cristiani e si spostano ad Istanbul, e stampano in ebraico e arabo. E sostenevano la stampa in ebraico stampando in latino. Stessa cosa fecero ad Istanbul, ma la stampa all’inizio era vista con sospetto, perché l’ Islam ha una idea particolare del valore calligrafico della parola. E tra il 500 e il 600 le grandi stamperie in caratteri arabi erano tutte in Europa”.
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Una ricerca “di frontiera” anche in altre aree geografiche?
“In un certo senso. E i fenomeni più noti nel Mediterraneo si realizzano in modo simile anche nell’ Oceano indiano, un altro mare chiuso, dove le culture si incontrano con in più l’elemento della cultura indiana. E succede anche con la cultura cinese”.
Quindi oggetti, traduzioni e conversioni da Roma alla Palestina?
“Abbiamo inserito anche uno studio sulla Palestina ottomana, ma essenzialmente ci siamo concentrati su Roma e Vienna”.
La presentazione guarda a questo intreccio con gli occhi degli intrecci di oggi e, come è scritto nella introduzione del volume, anche oggi si può dire che “la molteplicità degli attori coinvolti e dei fenomeni investigati aiuta a restituire il profilo di una realtà plurale e sfaccettata, in cui l’interazione tra culture diventa un elemento di straordinaria importanza”.