Roma , venerdì, 15. aprile, 2016 9:00 (ACI Stampa).
Aids, la nuova frontiera è l’educazione. Lo raccontano alcuni dei partecipanti al convegno organizzato da Caritas Internationalis, che si è tenuto presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù dall’11 al 13 aprile scorso. Organizzazioni impegnate sul campo si sono incontrate per discutere e cercare di comprendere come andare avanti nella strada che porterà a non considerare l’AIDS più una minaccia. Con un focus particolare: il problema dei bambini affetti da HIV.
Perché se 15 milioni di persone hanno finalmente accesso ai trattamenti anti-retrovirali (dati UNAIDS), solo ad un terzo dei bambini viene diagnostica l’AIDS e ricevono il trattamento. Certo, un problema economico. Ma anche un problema di educazione.
Lo spiega ad ACI Stampa monsignor Robert Vitillo, di Caritas Internaionalis, consulente speciali per le questioni sanitarie dell’Osservatore Permanente della Santa Sede a Ginevra. Da trenta anni nel campo, padre Vitillo sottolinea che i bambini “non prendono farmaci per tre motivi. In primis, perché i medicinali costano molto: abbiamo abbasssato molto il prezzo, però nella maggior parte dei Paesi poveri l’accesso ai farmaci costa 100 dollari l’anno: c’è bisogno di maggiore solidarietà internazionale”.
Il secondo motivo è la difficoltà di diagnosticare l'AIDS quando si è molto piccoli. “Si devono fare analisi costose, e non sempre è possibile. In più, non c’è una grande scelta di medicinali per i bambini. Sono difficili da produrre, è complicato stimare i dosaggi”.
Infine il terzo motivo, che è diventato ormai “il motivo”. Ovvero, lo stigma sulla malattia. “Molte madri fanno le analisi per loro stesse e per il bambino, ma non le ritirano mai, perché hanno paura. Perché temono che il marito o il partner darà colpa alla madre di tutto questo”. Insomma, un problema di educazione. Un tema “sul quale la Chiesa può dare molto”.