Città del Vaticano , domenica, 10. aprile, 2016 10:00 (ACI Stampa).
Parte da Dostoevskij la riflessione che P. José Granados dcjm, Vicepreside e ordinario di Teologia dogmatica al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi sul matrimonio e la famiglia, Università Lateranense, ha proposto al Convegno Misericordia Vultus promosso dallaPenitenzieria Apostolica nelle festa della Divina Misericordia. “Poniamo al centro, con convinzione, il sacramento della riconciliazione” (MV 17). Raccontare la misericordia, questo il tema che il teologo ha spiegato usando l’approccio di “ Delitto e castigo”: raccontare la colpa per raccontare la misericordia.
“Oggi- spiega Padre Granados- non mancano certamente i malintesi sulla misericordia. Davanti ad essi è doveroso domandarsi: qual è il carattere specifico della misericordia nel cristianesimo? Come si differenza essa dalla tolleranza (oggi vicina all’indifferenza) e dalla compassione? Per rispondere, la fede non ci propone innanzitutto una definizione di misericordia ma, per così dire, un suo racconto concreto, anzi, una sua pratica, per cui arriviamo a vivere il suo giusto senso: mi riferisco al sacramento della Penitenza”.
Ci sono tre momenti nel percorso concreto della Divina Misericordia ad iniziare con la confessione: “Infatti, anche se questo momento avviene dopo un processo di dolore per il peccato e di ricerca del perdono, la confessione è l’elemento più visibile, quello che si trova al centro del segno”.
Perché “il fatto che il peccatore possa raccontare il suo peccato è ormai un segno di liberazione”. Ecco quindi che “la misericordia non si limita a tollerare il male che abbiamo causato. Questo sarebbe troppo poco. La misericordia ci ricorda la nostra bontà originaria e, in questo modo, opera in noi una rigenerazione: ci permette di nascere di nuovo; ci reintegra alla vita secondo l’alleanza con Dio”.
Dalla confessione si passa alla contrizione, che “vuol dire rompere la forma di vita isolata del soggetto e adottare un’esistenza relazionale, capace di riconoscere l’origine e il destino in altri, di scoprire la propria identità donata, condivisa, chiamata a consegnarsi ad altri. È possibile allora raccontare la storia in modo relazionale, intrecciata alla storia dei nostri: questo succede nella confessio, dove si vede tutto a partire dalla gratitudine per il dono e la promessa ricevuta. Ecco perché Sant’Anselmo può proporre quest’etimologia: cor contritum, cum gratia tua tritum”.