Città del Vaticano , domenica, 3. aprile, 2016 11:11 (ACI Stampa).
Un contrasto, una lotta interiore “tra la chiusura del cuore e la chiamata dell’amore ad aprire le porte chiuse e uscire da noi stessi”. Questa è il commento del Papa al Vangelo che nella domenica della Divina Misericordia, la domenica in albis che chiude l’ottava di Pasqua, racconta dei discepoli timorosi, di Tommaso che crede solo vedendo.
“Cristo, che per amore è entrato attraverso le porte chiuse del peccato, della morte e degli inferi, desidera entrare anche da ciascuno per spalancare le porte chiuse del cuore. Egli, che con la risurrezione ha vinto la paura e il timore che ci imprigionano, vuole spalancare le nostre porte chiuse e inviarci”.
In Piazza San Pietro si celebra il Giubileo delle persone che aderiscono alla spiritualità della Divina Misericordia. Dopo la veglia di sabato sera oggi la messa celebrata dal Papa che come primo gesto della liturgia benedice l’acqua simbolo di vita nuova e ne asperge l’assemblea.
Nella II domenica di Pasqua dopo il canto del Victimae paschali laudes il Vangelo di Giovanni diventa vangelo della misericordia e “rimane un libro aperto, dove continuare a scrivere i segni dei discepoli di Cristo, gesti concreti di amore, che sono la testimonianza migliore della misericordia”. La strada indicata da Maestro risorto, spiega il Papa, “è a senso unico, procede in una sola direzione: uscire da noi stessi, per testimoniare la forza risanatrice dell’amore che ci ha conquistati. Vediamo davanti a noi un’umanità spesso ferita e timorosa, che porta le cicatrici del dolore e dell’incertezza. Di fronte al grido sofferto di misericordia e di pace, sentiamo oggi rivolto a ciascuno l’invito fiducioso di Gesù: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (v. 21).
Ogni infermità può trovare nella misericordia di Dio un soccorso efficace. La sua misericordia, infatti, non si ferma a distanza: desidera venire incontro a tutte le povertà e liberare dalle tante forme di schiavitù che affliggono il nostro mondo. Vuole raggiungere le ferite di ciascuno, per medicarle. Essere apostoli di misericordia significa toccare e accarezzare le sue piaghe, presenti anche oggi nel corpo e nell’anima di tanti suoi fratelli e sorelle”.