La loro è una azione “sacerdotale ad evangelizzatrice ad un tempo”, cui si unisce “la rappresentanza presso le Autorità pubbliche,” manifestando “l’effettivo esercizio di quel diritto nativo e indipendente di legazione anch’esso parte dell’ufficio petrino, che nel realizzarsi domanda il rispetto delle regole del diritto internazionale alla base della vita della Comunità delle genti”.
È un servizio che non si limita nei posti dove la presenza cattolica è radicata, ma anche laddove “è comunità nascente”, o “nei consessi internazionali”, e per questo – scrive Papa Francesco – “per adempiere adeguatamente alle proprie funzioni, il diplomatico deve essere costantemente impegnato in un percorso formativo solido e continuativo”.
Al di là delle conoscenze teoriche, serve “sviluppare un metodo di lavoro e uno stile di vita che gli consentano di comprendere a fondo le dinamiche delle relazioni internazionali e di farsi apprezzare nell'interpretare i traguardi e le difficoltà, che una Chiesa sempre più sinodale deve affrontare”, per questo c’è bisogno delle fondamentali qualità della “prossimità, l'ascolto attento, la testimonianza, l'approccio fraterno e il dialogo”, unite ad “umiltà e mitezza”, perché “il presbitero e, in modo particolare, il diplomatico pontificio, possa esercitare il dono del sacerdozio ricevuto a immagine di Cristo Buon Pastore”.
Insomma, ci vuole una preparazione più adeguata per “quegli ecclesiastici che, provenienti dalle diverse Diocesi del mondo e avendo già acquisito la formazione nelle scienze sacre e svolto una prima attività pastorale, dopo accurata selezione, si preparano a proseguire la loro missione sacerdotale nel servizio diplomatico della Santa Sede”.
Sono parole, queste, che pesano, perché segnalano anche un campanello di allarme, una necessità di fare la selezione ai massimi livelli.
Per questo il Papa ha aggiornato la struttura dell’Accademia, e approva il nuovo Statuto in forma specifica. La Pontificia Accademia Ecclesiastica diventa così Istituto ad instar Facultatis per lo studio delle Scienze Diplomatiche, andando così ad ampliare il novero delle analoghe Istituzioni previste dalla Costituzione Apostolica Veritatis Gaudium.
L’Accademia avrà personalità giuridica pubblica, sarà retta da norme comuni e particolari e da altre disposizioni della Santa Sede per le istituzioni di educazione superiore e conferirà i gradi accademici di Secondo e Terzo Ciclo in Scienze Diplomatiche.
Il Chirografo sottolinea che “l’Accademia realizzerà la sua funzione nelle forme più avanzate oggi richieste alla formazione e alla ricerca nel particolare settore disciplinare delle scienze diplomatiche, a cui concorre lo studio delle discipline giuridiche, storiche, politologiche, economiche, quello delle lingue in uso nelle relazioni internazionali e la competenza scientifica. In tale rinnovamento si avrà cura di prevedere che i programmi di insegnamento abbiano una stretta connessione con le discipline ecclesiastiche, con il metodo di lavoro della Curia Romana, con le necessità delle Chiese locali e più ampiamente con l’opera di evangelizzazione, l’azione della Chiesa e la sua relazione con la cultura e la società umana”.
Papa Francesco dispone inoltre che “a motivo della sua natura di Istituzione accademica designata alla peculiare formazione dei diplomatici pontifici e per le finalità dei suoi programmi di istruzione e ricerca, la Pontificia Accademia Ecclesiastica sia, ad ogni effetto, parte integrante della Segreteria di Stato”.
In una intervista ai media vaticani, il Cardinale Piero Parolin, Segretario di Stato vaticano, sottolinea che la riforma permetta alla Accademia di fornire “ai suoi alunni una formazione che integra discipline giuridiche, storiche, politologiche, economiche e, naturalmente, la competenza specifica nelle scienze diplomatiche”.
Insomma, “con una aggiornata visione dei percorsi universitari e di ricerca, si tratta di un ritorno alle radici, alla fondazione di questa Istituzione che ha vissuto tante vicende della storia, spesso non facili per la Sede di Pietro. E nonostante le avversità degli avvenimenti l’Accademia è rimasta il luogo di formazione al servizio dei Papi”.
Il capo della diplomazia vaticana ricorda che “i programmi di insegnamento saranno, infatti, strettamente connessi con le discipline ecclesiastiche, in modo che la preparazione dei sacerdoti-alunni coniughi l’ambito diplomatico con la dimensione di comunione della Chiesa e si sviluppi in armonia con il metodo di lavoro della Curia Romana, l’evangelizzazione e l’azione missionaria della Chiesa”.
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Ma si guarderà anche alla “relazione tra la Chiesa e la società, come pure il dialogo con la cultura contemporanea, che sono considerati elementi fondamentali per la diplomazia vaticana, che si fa portavoce del messaggio cristiano nelle sedi internazionali”.
L’Accademia è organicamente inserita nella struttura della Segreteria di Stato, ma saranno coinvolti nella formazione anche diversi dicasteri della Curia Romana.
Il Cardinale Parolin sottolinea anche che “il diplomatico pontificio non è dunque solo un esperto in tecniche di negoziazione, ma un testimone di fede, impegnato nel superare le barriere culturali, politiche e ideologiche, e nel costruire ponti di pace e di giustizia. Questo approccio consente alla Chiesa di sviluppare percorsi concreti per la pace, per la libertà di religione di ogni credente e per l'ordine tra le nazioni, avendo sempre in mente la missione di Cristo e il bene di tutta l’umanità”.
Per questo, “la Pontificia Accademia Ecclesiastica diventa non solo un centro di eccellenza nelle scienze diplomatiche, ma anche una fucina di formatori che sono chiamati a portare avanti la diplomazia della Santa Sede, con uno stile che rifletta il cuore del Vangelo: dialogo, riconciliazione e pace”.
La riforma, di lunga gestazione, entra in vigore in un momento in cui si sta dibattendo anche il ruolo dei nunzi, specialmente attraverso il gruppo di studio, scaturito dal Sinodo sulla sinodalità, su “Il Ruolo dei Rappresentanti Pontifici in Prospettiva Sinodale Missionarie”.
Durante le discussioni del Consiglio dei Cardinali in vista della riforma della Curia, all’inizio del pontificato di Papa Francesco, era tornato più volte sul tema del ruolo dei nunzi, e in particolare sul loro ruolo nella selezione dei vescovi.