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Tutela dei Minori, una plenaria verso una nuova tappa concentrata sulla riparazione

Si guarda già al secondo rapporto annuale, per la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori. Di cosa si è parlato nell’assise che si è tenuta a Roma dal 24 al 28 marzo

Tutela dei Minori | Un momento dell'ultima plenaria della Pontificia Commissione dei Minori | tutelaminorum.va Tutela dei Minori | Un momento dell'ultima plenaria della Pontificia Commissione dei Minori | tutelaminorum.va

Ha pubblicato lo scorso ottobre il primo rapporto annuale, che metteva in luce dieci anni di lavoro sul tema della salvaguardia e una serie di linee guida. Ma la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori già ha cominciato a discutere del prossimo rapporto annuale nella sua plenaria che si terrà dal 24 al 28 marzo.

Già una prima bozza è stata esaminata, in una riunione ancora presieduta dal Cardinale Sean O’Malley come presidente. O’Malley ha comunque superato gli 80 anni di età, e in genere dopo quell’età si decade anche da tutte le membership dei dicasteri. In un lapsus, Papa Francesco, tornando dal Belgio, aveva parlato di un “vescovo colombiano” presidente, e sarebbe l’attuale segretario, il vescovo Luis Alì Manuel Herrera. Nessuna nomina è stata ufficializzata, tuttavia. Mentre il Segretario è scelto direttamente dal Papa e diventa membro della commissione ex officio, il presidente della Commissione deve essere scelto dal Papa tra i membri della Commissione.

Non si sa, dunque, se questa sarà stata l’ultima riunione di O’Malley come presidente. Ha guidato un gruppo di quindici opinion leaders nella salvaguardia di bambini, adolescenti e persone vulnerabili dal rischio di abusi in contesti ecclesiali, i quali hanno cominciato a scorrere la prima bozza del rapporto 2025, la cui pubblicazione è prevista per l’autunno.

Se il primo rapporto si era concentrato sugli sforzi della Chiesa globali per implementare le pratiche per prevenire gli abusi, il prossimo rapporto si concentrerà più sul concetto di riparazione.

Basandosi sul lavoro precedente con la Commissione, il professor David Smolin ha tracciato la progressione da una nozione secolare di giustizia, tipicamente associata alle società post-conflitto, a un modello profondamente ecclesiale che fonda la riforma nella teologia cattolica e nella pratica pastorale promossa dalla Commissione per dieci anni. Ha elogiato l'adozione formale da parte della Commissione del termine "giustizia riparatrice" nel suo rapporto annuale pilota, definendolo "un passo avanti molto positivo".

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Smolin ha inquadrato la giustizia riparatrice come "un cambiamento positivo all'interno della Chiesa e all'interno degli individui", che deriva dall'imperativo teologico della conversione, sollecitato da Papa Francesco nella protezione dei bambini. Ha collegato questo fondamento teologico con la collocazione istituzionale della Commissione all’interno del Dicastero per la Dottrina della Fede, sottolineando che la Commissione “sta parlando alla Chiesa dall’interno della Chiesa, usando il linguaggio e le autorità della Chiesa”.

Ha sottolineato che questo approccio teologico concettualizzato come una nuova metodologia “è appropriato, fintantoché alla Commissione viene accordato il grado di autonomia e libertà necessario alla sua difficile missione”.

Smolin ha delineato il danno di vasta portata inflitto dall'abuso sessuale clericale, non solo ai sopravvissuti, ma anche alle famiglie, alle comunità ecclesiali, al clero innocente e persino ai bambini indirettamente esposti agli scandali di abusi. Citando il Catechismo della Chiesa Cattolica sullo stupro, ha ricordato alla Commissione che "lo stupro ferisce profondamente il rispetto, la libertà e l'integrità fisica e morale a cui ogni persona ha diritto. Provoca gravi danni che possono segnare la vittima per tutta la vita. È sempre un atto intrinsecamente malvagio. Ancora più grave è lo stupro di bambini commesso dai genitori ... o dai responsabili dell'educazione dei bambini loro affidati."

I sopravvissuti, ha detto, "non sono tenuti a riparare per conto della Chiesa". Invece, l'obbligo ricade sui leader della Chiesa, in particolare su coloro che non sono direttamente complici di abusi o insabbiamenti.

"Questo – ha aggiunto - è progettato per contrastare una comprensibile reazione che tali leader della Chiesa potrebbero avere, ovvero che se non fossero coinvolti direttamente in quei crimini e peccati, perché dovrebbero fare di tutto per affrontarli?"

 

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Tra le proposte concrete, Smolin ha sottolineato che “è fondamentale che i rappresentanti della Chiesa, e in particolare i leader della Chiesa, ascoltino i sopravvissuti raccontare le loro storie. L'ascolto attivo più riparativo non offre immediatamente soluzioni o pretende di sistemare o riparare; è proprio l'atto dell'ascolto impegnato che offre al meglio un primo passo e un percorso verso la riparazione".

Smolin ha anche distinto le scuse dalla richiesta di perdono. Le prime sono “un passo iniziale e incipiente della riparazione da parte della Chiesa e potrebbe avvelenare le scuse usarle come occasione per chiedere perdono".

Ha messo in guardia contro quella che ha definito "manipolazione spirituale", soprattutto quando il perdono viene richiesto prematuramente ai sopravvissuti.

In merito al tema delle riparazioni finanziarie, Smolin ha sottolineato la necessità di comprendere le aspettative locali diversificate nelle diverse culture, sottolineando che mentre il denaro può svolgere ruoli simbolici o terapeutici in determinati contesti, non dovrebbe essere confuso con una vera riparazione.