Città del Vaticano , domenica, 6. aprile, 2025 11:02 (ACI Stampa).
Stamane sul sagrato della Basilica di San Pietro l’Arcivescovo Fisichella ha presieduto la Messa in occasione del Giubileo degli Ammalati e del mondo della Sanità. “A pochi metri da noi, da Santa Marta il Papa – ha detto l’Arcivescovo - ci è vicino e sta partecipando come tanti malati a questa santa Eucaristia tramite la televisione, sono contento e onorato di offrire la mia voce per leggere l’omelia che lui ha preparato”.
Nel brano di Vangelo di oggi – afferma Monsignor Fisichella leggendo il testo curato dal Papa - c’è una persona, una donna, la cui vita è distrutta da una condanna morale. È una peccatrice, e perciò lontana dalla legge e condannata all’ostracismo e alla morte. Anche per lei sembra non ci sia più speranza. Ma Dio non l’abbandona. Anzi, proprio quando già i suoi aguzzini stringono le pietre nelle mani, proprio lì, Gesù entra nella sua vita, la difende e la sottrae alla loro violenza, dandole la possibilità di cominciare un'esistenza nuova”.
Partendo dal racconto evangelico siamo chiamati “a rinnovare, nel cammino quaresimale, la fiducia in Dio, che è sempre presente vicino a noi per salvarci. Non c’è esilio, né violenza, né peccato, né alcun’altra realtà della vita che possa impedirgli di stare alla nostra porta e di bussare, pronto ad entrare non appena glielo permettiamo. Anzi, specialmente quando le prove si fanno più dure, la sua grazia e il suo amore ci stringono ancora più forte per risollevarci”.
“La malattia – scrive ancora il Papa - è una delle prove più difficili e dure della vita, in cui tocchiamo con mano quanto siamo fragili. Essa può arrivare a farci sentire come il popolo in esilio, o come la donna del Vangelo: privi di speranza per il futuro. Ma non è così. Anche in questi momenti, Dio non ci lascia soli e, se ci abbandoniamo a Lui, proprio là dove le nostre forze vengono meno, possiamo sperimentare la consolazione della sua presenza. Egli stesso, fatto uomo, ha voluto condividere in tutto la nostra debolezza e sa bene che cos’è il patire. Perciò a Lui possiamo dire e affidare il nostro dolore, sicuri di trovare compassione, vicinanza e tenerezza”.
Dio “nel suo amore fiducioso ci coinvolge perché possiamo diventare a nostra volta, gli uni per gli altri, angeli, messaggeri della sua presenza, al punto che spesso, sia per chi soffre sia per chi assiste, il letto di un malato si può trasformare in un luogo santo di salvezza e di redenzione”.