Il protocollo aveva, insomma, un significato preciso. Non era inteso ad escludere alcuno (tanto è vero che il Papa poi incontrava il coniuge in un secondo momento), ma era piuttosto inteso a catechizzare. Perché il Papa testimonia la verità anche attraverso i gesti diplomatici. È questo il senso della sua missione.
D’altro canto, Papa Francesco ha inteso mostrare una maggiore “integrazione” per i divorziati risposati cambiando le norme del protocollo vaticano. Per questo, si è deciso di far cadere quella parte di protocollo che chiede ai Capi di Stato cattolici di non mettere in imbarazzo il Papa se si trovano in situazioni irregolari.
Una decisione che è stata presa senza consultare, a quanto sembra, la Prefettura della Casa Pontificia, che pure è l’organo deputato a vigilare sul protocollo Papale.
Secondo un osservatore interno, la proposta di cambio di protocollo sarebbe venuta direttamente da membri della Segreteria di Stato o comunque diplomatici, che avrebbero parificato la visita di un capo di Stato al gradimento dato ad un ambasciatore accreditato presso la Santa Sede. Se il gradimento all’ambasciatore prescinde dalla sua situazione personale in termini canonici, allora anche accettare la visita di un capo di Stato prevederebbe un “gradimento” da parte del Papa che non tiene conto della situazione irregolare.
Di certo, il cambio di protocollo non rappresenta un cambiamento nella dottrina in termini di matrimonio. Papa Francesco ha spiegato chiaramente il suo punto di vista lo scorso 18 febbraio, durante la conferenza stampa nel volo di ritorno dal Messico.
Durante la conferenza stampa, il Papa ha sottolineato la necessità di integrare i cattolici che hanno divorziato e contratto un nuovo matrimonio, ma ha anche detto che “integrare nella Chiesa non significa ricevere la comunione”.
Tutto chiaro, insomma, per il Papa. Meno per il movimento di pensiero che fa pressione perché si cambi la dottrina sul matrimonio, soprattutto nel mondo secolare. Così, un magazine online americano di informazione religiosa ha potuto titolare “Il Papa cambia le regole del secondo matrimonio (Per i capi di Stato)”, forzando chiaramente i termini del cambio di protocollo.
Lo stesso tentativo è stato attuato lo scorso 21 marzo, quando era annunciata la visita dell’ex presidente francese Nicolas Sarkozy dal Papa, accompagnato da Carla Bruni, sua terza moglie. Quando era presidente della Francia, Nicolas Sarkozy era stato per due volte in visita da Benedetto XVI, nel 2007 e nel 2010. In nessuna delle occasioni fu accompagnato da Carla Bruni: nel 2007, i due non erano ancora sposati, nel 2010 si preferì togliere dall’imbarazzo il Vaticano: Carla Bruni avrebbe seguito il protocollo per i Capi di Stato o di governo cattolici, potendo salutare il Papa in una sala riservata, ma il can can mediatico intorno alla sua presenza avrebbe messo il Vaticano in una cattiva posizione. E Nicolas Sarkozy, al contrario, stava lavorando al suo progetto di “sana laicità”, volto ad una maggiore inclusione delle religioni nella vita pubblica francese.
In questo momento, Sarkozy non ha incarichi istituzionali, pur avendo continuato la sua attività politica con alterni successi. La sua visita a Papa Francesco dunque è una visita strettamente privata, e non conta la sua situazione matrimoniale.
In più, si è trattato di una visita così privata che non c’è stato un comunicato della Sala Stampa vaticana al termine della visita, né sono state diffuse fotografie. In Vaticano si è preferito mantenere un profilo molto basso sulla visita. E non c’era motivo fosse altrimenti: si trattava di un incontro di un privato cittadino e sua moglie con il Papa.
Ciononostante, c’è chi ha voluto sottolineare che la visita di Sarkozy e Carla Bruni abbia rappresentato la seconda volta del nuovo protocollo vaticano per i Capi di Stato. Non è stato così.
Si è trattato, anche in questo caso, dei prodromi di una guerra delle interpretazioni che probabilmente esploderà al momento della pubblicazione dell’esortazione post-sinodale.
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