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Birmania. L'annoso dramma dei cristiani perseguitati

Un approfondimento sull'annosa questione religiosa nella Birmania.

Un panorama del Myanmar | Un panorama del Myanmar | Credit Vatican Media Un panorama del Myanmar | Un panorama del Myanmar | Credit Vatican Media

Terremoto e distruzione in Birmania, è questo lo scenario che vediamo da ieri sugli schermi dei maggiori telegiornali mondiali. L'attenzione dell'informazione, tutta calamitata su questo dramma. Ma dietro a questo panorama così tragico, c'è - da tempo - un altra grande crisi che vede protagonista la Birmania: è quella dei cristiani perseguitati. 

La Costituzione del Myanmar (noto anche come Birmania) del 2008 tutela la libertà religiosa dei suoi cittadini. All’articolo 34 si afferma che “ogni cittadino ha diritto in egual misura alla libertà di coscienza e il diritto di professare e praticare liberamente la propria religione nel rispetto dell’ordine pubblico, della morale o della salute e delle altre disposizioni contenute in questa Costituzione”. Pur riconoscendo il Cristianesimo, l’Islam, l’Induismo e l’Animismo come “le religioni esistenti nell’Unione nel giorno dell’entrata in vigore della presente Costituzione”, così recita l’articolo 362, la Carta attribuisce uno “status speciale al Buddismo in quanto fede professata dalla grande maggioranza dei cittadini dell’Unione”.  

Da ciò, sempre più evidente un dato: il monachesimo buddhista birmano ha assunto in questi anni un atteggiamento assai fondamentalista, nazionalista e islamofobo, con pericolosi segni anche di cristianofobia.  Un buddismo praticato da circa il 90 per cento della popolazione. Nel paese vivono più o meno 500mila monaci e 75mila monache su un totale di 54 milioni di abitanti. Spesso i religiosi sono in prima linea nella vita politica del paese.

In questo panorama così delicato, si comprende bene, allora, il perché di tante persecuzioni per i cristiani, soprattutto per coloro che hanno lasciato la fede buddista: infatti, i convertiti al cristianesimo in Myanmar si trovano perseguitati dalle loro famiglie e dalle comunità buddiste, musulmane o tribali, perché hanno abbandonato la loro fede. Questo abbandono li vede abbandonare la vita comunitaria: lasciare il credo dei propri parenti non è cosa facile.  

Secondo un interessante studio di Porte Aperte/Open Doors “Il Myanmar è teatro della più lunga guerra civile al mondo, iniziata nel 1948. Nonostante molta attenzione dei media sia stata riservata al dramma dei musulmani Rohingya, la costante guerra contro i gruppi insurrezionali – che affligge tra gli altri, gli stati del Kachin, del Karen e dello Shan (nei quali c’è una forte minoranza cristiana) – è stata largamente sottaciuta. È stato interessato da questa guerra anche lo Stato del Chin, a prevalenza cristiana. I cristiani sono vulnerabili alla persecuzione da parte di gruppi insurrezionalisti e dall’esercito, e più di 100.000 cristiani nel nord del paese vivono in campi profughi per rifugiati interni, dove sono privati dell’accesso al cibo e alle cure sanitarie”.

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