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Vita Consacrata, i monaci di Vidalenzo: “Rendere i monasteri luoghi vivi”

Una lettera aperta, indirizzata al Papa, chiede alle vocazioni monastiche di superare la frammentazione

Vidalenzo | Il monaastero di Vidalenzo | Eremo Mariano Vidalenzo | Il monaastero di Vidalenzo | Eremo Mariano

In una lettera aperta indirizzata a Papa Francesco, e idealmente a tutte le comunità monastiche, i monaci di Vidalenzo, una famiglia che si è data il nome di “Custodi del Divino Amore”, invitano a rendere i monasteri “luoghi vivi, porte aperte alla comunità, luoghi di accoglienza e di speranza,” ricordando che “la vocazione monastica, lungi dall’essere un’eredità del passato, è un cuore pulsante della Chiesa, un dono per l’umanità che si rinnova in ogni epoca”.

La lettera aperta, pubblicata in occasione del Giubileo 2025, tocca il tema dell’attualità delle vocazioni monastiche. Soprattutto, guarda al futuro di queste vocazioni, cercando di superare la frammentazione. E, non a caso, la lettera aperta ha come titolo, “bellezza frantumata”.

Ma, prima di lasciare alla lettura integrale della lettera, vale la pena soffermarsi su Vidalenzo. I monaci benedettini sono arrivati nel 2021 a ripopolare l’Eremo di San Cristofaro a Vidalenzo, località che si trova ancora in territorio parmense, ma che confina immediatamente con il territorio piacentino e quello cremonese, e risente di tutti questi territori.

I monaci, guidati dal superiore, padre Mario Masiello, che è anche amministratore parrocchiale, hanno avviato moltissime iniziative nel monastero. Non era la prima volta che il carisma benedettino arrivava a Vidalenzo. I cistercensi di Chiaravalle della Colomba vi fondarono l’oratorio dedicato a Santa Franca, che nel 1620 divenne poi la casa di una piccola comunità di frati francescani.

Nella lettera, i monaci di Vidalenzo sottolineano in particolare che “la vita monastica è una testimonianza viva e una risposta radicale alla chiamata di Cristo”, e che è necessario “mettere insieme” tutti i frammenti dei vari carismi individuali e comunitari, riconoscendo che “solo attraverso la comunione possiamo scoprire con maggiore profondità ciò che ci è stato donato”.

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Ecco il testo integrale della lettera: 

Lettera aperta al Santo Padre e a tutti i monaci, eremiti e associazioni, fraternite monastiche.

Santità, Reverendissimi Padri, stimati fratelli e sorelle nella vita monastica,

con questa lettera, desideriamo condividere alcune riflessioni sul dono prezioso della vocazione monastica, una grazia che si manifesta nella sua bellezza satura e inesauribile, ma che, per la nostra limitata comprensione umana, possiamo cogliere solo in frammenti.

La vita monastica, nelle sue molteplici forme—cenobitiche, eremitiche, associative—è una testimonianza viva e una risposta radicale alla chiamata di Cristo. Ogni carisma individuale o comunitario raccoglie una parte infinitesimale di questo dono che Dio ci elargisce gratuitamente. Tuttavia, perché possiamo accogliere pienamente la grazia che ci è stata concessa, è necessario un atto di umiltà: mettere insieme i nostri frammenti, riconoscendo che nessuno di noi possiede il tutto, ma che solo attraverso la comunione possiamo scoprire con maggiore profondità ciò che ci è stato donato.

San Benedetto ci invita nella sua 'Regola' a non anteporre nulla a Cristo (RB 72,11), un monito che guida la vita monastica verso l’unità nella diversità. Non siamo chiamati a isolarci come isole sparse, ma a riconoscerci parte di un’unica grande famiglia spirituale.

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Ogni comunità monastica, ogni associazione, ogni eremita, porta un pezzo di questa bellezza integrale e contribuisce a costruire un mosaico che riflette l’immensa grazia e amore di Dio.

Siamo consapevoli delle sfide che oggi affronta il monachesimo, soprattutto nelle società occidentali: i monasteri che si svuotano, le vocazioni che diminuiscono, la percezione frammentata di una bellezza che sembra spezzata. Ci interroghiamo se Dio abbia smesso di chiamare, o se sia l’uomo, sopraffatto dalla mondanità e dall’effimero, a non riuscire più ad ascoltare.

Eppure, crediamo fermamente che Dio non si trasferisca, che il Suo patto non sia stato mai revocato (cfr. Rm 11,29). Questa convinzione ci spinge a vedere nella frammentazione non una fine, ma una nuova opportunità per unire ciò che sembra disperso e rendere più visibile la bellezza del dono di Dio.

Come ha sottolineato il nostro Papa Francesco, non vogliamo un monachesimo rigido e triste, con il "volto dell’aceto", ma un monachesimo che risplenda di gioia, aperto al dialogo e capace di abitare la storia senza esserne travolto. Non dobbiamo abbattere le mura dei monasteri, ma renderle luoghi vivi, porte aperte alla comunità, luoghi di accoglienza e speranza. La vocazione monastica, lungi dall'essere un’eredità del passato, è un cuore pulsante della Chiesa, un dono per l’umanità che si rinnova in ogni epoca.

Riunire i frammenti non significa uniformare o cancellare le differenze, ma valorizzare i carismi di ciascuno in una comunione armoniosa. Come cellule di un unico cuore, possiamo battere insieme e offrire questo cuore rinnovato al Santo Padre e al servizio della Chiesa universale. Non proponiamo un monachesimo chiuso e autoreferenziale, né un sincretismo spirituale che perde la sua identità, ma una realtà capace di integrare le sue diversità in un’unica grande famiglia monastica.

Concludiamo con un’immagine: come il profeta Giona, rigettati dal ventre del pesce, siamo chiamati a rinascere (cfr. Gna 2,1-10), a riprendere con rinnovata forza il nostro cammino di vocazione. Insieme, possiamo ricostruire una bellezza che non sia più spezzata, ma integra, autentica e luminosa. Affidiamo queste riflessioni al cuore del Santo Padre e alla preghiera di tutti i monaci, eremiti e associazioni monastiche, con la certezza che il monachesimo continuerà a essere un segno visibile dell’amore di Dio nel mondo.

Uniti nella preghiera,

I monaci di Vidalenzo

Anno Giubilare 2025