L’arcivescovo Auza nuovo nunzio della Santa Sede presso l’Unione Europea
Era dal 2019 nunzio apostolico a Madrid, e prima ancora era stato osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York. Ora l’arcivescovo Bernardito Auza è chiamato a prendere il posto di “ambasciatore del Papa” presso l’Unione Europea, dopo che i due precedenti nunzi erano scomparsi prematuratamente.
In questi anni come nunzio in Spagna, l’arcivescovo Auza si è trovato anche ad affrontare le questioni riguardanti la tomba di Francisco Franco.
Precedentemente, nei suoi cinque anni di servizio alle Nazioni Unite, l’arcivescovo Auza ha accolto Papa Francesco alle Nazioni Unite il 25 settembre 2015, e ha partecipato ai negoziati che hanno portato all’adozione di molti documenti internazionali, come l’agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, l’Agenda di Addis Abeba per il finanziamento dello Sviluppo, l’Accordo di Parigi sul Clima, il Trattato sull’eliminazione delle Armi Nucleari, gli “accordi globali” (global compacts) su migrazioni e rifugiati.
Sotto la guida dell’arcivescovo Auza, la missione della Santa Sede presso le Nazioni Unite ha organizzato una media di circa 20 conferenze per anno, su temi come lo scandalo del traffico di esseri umani, la persecuzione dei cristiani e delle minoranze religiose nel Medio Oriente e in altri posti, il diritto alla libertà religiosa, l’importanza di padri e madri, la difesa dei diritti di persone indigene in Amazzonia, la protezione dei migranti e dei rifugiati, il processo di pace in Colombia, il dialogo interreligioso come componente essenziale di società pacifiche e inclusive, il diritto alla vita, e molti altri.
Filippino, nato nel 1959, sacerdote dal 1985, Auza è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1990 e ha lavorato nelle rappresentanze diplomatiche di Madagascar e Oceano Indiano del Sud dal 1990 al 1993, di Bulgaria dal 1993 al 1996, di Albania dal 1997 al 1998.
Tra il 1999 e il 2006 ha poi lavorato nella Sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, quindi dal 2006 al 2008 nella Missione della Santa Sede alle Nazioni Unite.
Nel 2008, il primo incarico come nunzio, ad Haiti. Nel 2014 quindi la nomina come Osservatore alle Nazioni Unite di New York. Dal 2019 era nunzio in Spagna.
FOCUS NUOVI CARDINALI
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha offerto al Palazzo del Quirinale la tradizionale colazione in onore dei nuovi cardinali italiani nominati nel Concistoro del 7 dicembre 2024.
Sono il cardinale Angelo Acerbi, nunzio apostolico; il cardinale Roberto Repole, arcivescovo di Torino; il cardinale Baldassarre Reina, vicario generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma; il cardinale Fabio Baggio, sotto-segretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, e il cardinale Domenico Battaglia, arcivescovo di Napoli. I nuovi cardinali sono stati accompagnati dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato di Sua Santità, dall’arcivescovo Petar Rajič, nunzio apostolico in Italia, e da Francesco Di Nitto, ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede.
FOCUS SEGRETERIA DI STATO
Il Cardinale Parolin parla della necessità di un disarmo generale e controllato
Finora, la Santa Sede non aveva preso posizione sul piano ReArm Europe, la risposta europea al calo del sostegno americano all’Ucraina. Lo ha fatto il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, parlando il 17 marzo a margine della prima edizione de “Il Tavolo del Ramadan – Iftar” promossa dall’Ambasciata del Marocco presso la Santa Sede. Nell’occasione, il Segretario di Stato ha ricevuto dall’ambasciatore del Marocco Rajae Naji El Mekkaoui il premio “I volti nascosti del dialogo”.
Parlando con i giornalisti, il Cardinale ha sottolineato che “sin dalla Prima guerra mondiale”, la Santa Sede “ha una politica chiara per quanto riguarda il riarmo”, che è quella di chiedere “un disarmo generale e controllato. Quindi non si può essere contenti di come stanno andando le cose”.
Il Cardinale Parolin ha anche affrontato la situazione tra Russia e Ucraina, e in particolare della tregua. Per il cardinale non vanno messe “precondizioni che impediscano di avviare un dialogo”, come possono essere i paletti di Mosca riguardo “la questione della verifica dell’osservanza della tregua”.
Allo stesso tempo, il Cardinale ha sperato “che si avvii questo processo”, visto che “da parte dell’Ucraina c’è disponibilità, che ci sia disponibilità anche dall’altra parte per avviare questo cessate il fuoco che dovrebbe durare trenta giorni”, da cui “far partire un negoziato che possa porre fine alla guerra e stabilire quella pace giusta e duratura che abbiamo auspicato”.
Parlando poi della salute del Papa, il Cardinale – che lo ha visto l’ultima volta una settimana fa – ha detto che negli incontri tra lui e l’arcivescovo Pena Parra, sostituto, con il Papa, “gli presentiamo le tematiche e i problemi che hanno bisogno di una soluzione e il Papa dà le sue indicazioni’’. Il cardinale ha opposto anche un categorico “no” alla possibilità di dimissioni del Papa”.
FOCUS AMERICA
Canada, le organizzazioni religiose saranno ancora non profit?
Un rapporto della Commissione Finanze del Governo canadese ha proposto che le organizzazioni religiose e i gruppi pro-life non siano più riconosciuti come organizzazioni senza scopo di lucro a fini fiscali.
Il cardinale Francis Leo, arcivescovo di Toronto, ha chiesto che invece queste agevolazioni siano mantenute in una lettera inviata lo scorso 21 febbraio al ministro delle Finanze Dominic LeBlanc.
La richiesta di eliminare le agevolazioni fiscali alle organizzazioni religiose si trova in una relazione pre-bilancio della Commissione Finanze, in cui si propone di eliminare la propaganda religiosa dagli obiettivi caritatevoli.
Il Cardinale invita “con forza” il governo a non dare seguito a queste proposte, sottolineando come “le organizzazioni religiose rafforzano il Paese”, e notando come la proposta dimostri anche la scarsa comprensione del ruolo cruciale delle organizzazioni religiose nella società.
L’arcivescovo di Toronto ha quindi definito “sbalorditivo” che la protezione della vita non sia più considerata accettabile in un Paese che ha sancito la libertà religiosa nella sua Costituzione, e ha messo in luce che il governo deve riconoscere che nella società canadese ci sono molti individui e gruppi religiosi, per i quali la religione svolge un ruolo importante nella loro vita.
FOCUS AFRICA
Il lavoro per la pace delle Chiese della Repubblica Democratica del Congo
A partire dal 18 marzo, sono cominciati i negoziati diretti tra la Repubblica Democratica del Congo e il movimento ribelle M23.
Il movimento M23 è sostenuto dal Rwanda e ha preso il controllo ad inizio anno di città strategiche come Goma Bukavu aggravando la crisi umanitaria nella regione, ricca di minerali. I negoziati diretti sono stati frutto del lavoro concertato della Chiesa cattolica e protestante nella Repubblica Democratica del Congo, dopo che il presidente Félix Tshisekedi aveva precedentemente escluso colloqui con l’M23.
Il colloquio del 18 marzo si tiene a Luanda, capitale dell’Angola, a seguito di una maratona diplomatica della Chiese iniziata il 3 febbraio a Kinshasa, quando una delegazione guidata dal Cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo della capitale, e composta dai principali rappresentanti della Conferenza Episcopale del Congo e della Chiesa ha incontrato il presidente Tshisekedi per
per consegnargli un "Patto sociale per la pace e la convivenza nella Repubblica Democratica del Congo e nella regione dei Grandi Laghi".
Inizialmente, il presidente aveva apprezzato l’iniziativa, poi aveva rifiutato ogni dialogo con l’M23 perché sarebbe significato accettare di dettami del Ruanda, quindi, ad inizio marzo, grazie alla mediazione del presidente dell’Angola Lourenço, ha aperto di nuovo al dialogo.
Lourenç ha mediato anche su pressione della Chiesa Cattolica e Protestante del Paese. Secondo i rappresentanti della Chiesa, questa iniziativa segna il punto di partenza di un dialogo globale e inclusivo, necessario per raggiungere un consenso nazionale. Allo stesso tempo, hanno esortato i protagonisti ad aprire un corridoio umanitario per aiutare le popolazioni colpite.
FOCUS ASIA
Indonesia, 75 anni di relazioni con la Santa Sede
Il 13 marzo è stato celebrato il 75esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Indonesia e Santa Sede. Il 13 marzo 1950, infatti, le relazioni furono formalmente stabilite, a conclusione di un percorso iniziato nel 1947, quando la Santa Sede aveva riconosciuto l’indipendenza e la sovranità della Santa Sede.
Fu un passo importante, favorito dal primo vescovo indonesiano, il gesuita Albertus Soegijapranata, gesuita, primo vescovo indonesiano, che aprì la strada al riconoscimento della sovranità indonesiana anche da parte di altre nazioni europee e americane.
Pio XII inviò monsignor Georges-Marie Joseph Hubert Ghislain de Jonghe d'Ardoye prima come delegato apostolico, e poi lo elevò al rango di nunzio. Sukarjo Wiryopranoto servì come primo ambasciatore dell'Indonesia presso la Santa Sede. Nominando mons. d'Ardoye, il Vaticano dimostrò inequivocabilmente il suo sostegno alla sovranità dell'Indonesia in un momento in cui il Paese affrontava ancora la minaccia di una nuova colonizzazione da parte degli olandesi.
L’Indonesia è stata visitata da tre Papi: Paolo VI vi fece tappa nel 1970, Giovanni Paolo II nel 1989 e Papa Francesco nel 2024. Sono stati invece quattro i presidenti indonesiani a far visita in Vaticano. Il presidente Sukarno visitò Giovanni XXIII e Papa Paolo VI nel 1956, 1959 e 1964. Il presidente Suharto incontrò Paolo VI nel 1972. Il presidente Abdurrahman Wahid fece visita a Giovanni Paolo II nel 2000. Il presidente Megawati Sukarnoputri ha fatto visita a Giovanni Paolo II nel 2002, e poi due volte a Papa Francesco, nel 2023 e nel 2025, in quest’ultimo caso in occasione del summit per i diritti dei bambini.
Parlando con AsiaNews, l'attuale ambasciatore indonesiano presso la Santa Sede, Michael Trias Kuncahyono, ha sottolineato che il Vaticano consideri l'Indonesia un esempio unico di promozione della fraternità nella diversità. L'ideologia nazionale indonesiana, la dottrina del “Pancasila”, e il suo motto Bhinneka Tunggal Ika (“Unità nella diversità”) incarnano il principio dell'unità tra popoli diversi.
L’Indonesia apprezza la Santa Sede per la sua influenza spirituale e per il suo impegno per la dignità umana.
Ad oggi, ci sono 1.729 i religiosi indonesiani che studiano, lavorano e prestano servizio in varie comunità religiose italiane. Molte suore sono impegnate nell'istruzione, nell'assistenza agli anziani e nella gestione di orfanotrofi, mentre la maggior parte dei sacerdoti prosegue i propri studi accademici.
L’ambasciatore sostiene che Santa Sede e Indonesia hanno in comune la tutela dei diritti delle donne e dei bambini e promuovono attivamente il dialogo e la diplomazia nelle aree di conflitto, tra cui Palestina, Yemen, Myanmar, Nigeria e Ucraina. Sul conflitto israelo-palestinese, in particolare, l'Indonesia e il Vaticano condividono una posizione chiara a sostegno della soluzione dei due Stati.
Indonesia, il ministro propone una legge sulla libertà religiosa
Natalius Pigai, ministro dell’Indonesia per i diritti umani, ha proposto di adottare una legge sulla libertà religiosa allo scopo di limitare la discriminazione contro le minoranze, e la proposta è attualmente in discussione.
Parlando con l’agenzia di stampa asiatica UCA News, Pigai ha anche sottolineato che la legge deve tenere conto non solo delle sei religioni riconosciute ufficialmente dallo Stato (Islam, Protestantesimo, Cattolicesimo, Induismo, Buddismo e Confucianesimo), ma anche di altre fedi. "Tutti i cittadini hanno diritto alla libertà di religione e a praticare la propria fede senza paura", ha affermato il ministro.
La proposta è stata accolta con favore da Nahdlatul Ulama, la più grande organizzazione di musulmani moderati con circa 80 milioni di seguaci. Il suo presidente, Yahya Cholil Staquf, ha anche sottolineato che lo Stato deve ridurre i conflitti tra religioni a livello di base.
Anche Bonar Tigor Naipospos del Setara Institute for Democracy and Peace ha sostenuto l'iniziativa, sostenendo che lo Stato non deve solo proteggere i cittadini, ma anche garantire loro il diritto di scegliere, professare e praticare liberamente la propria religione.
Mafirion, membro della Commissione per gli Affari Religiosi, ha invece criticato la legge, sostenendo che la libertà religiosa è già garantita dalla Costituzione del 1945.
L'Indonesia, con 280 milioni di abitanti, è il paese con la più grande popolazione musulmana al mondo. Oltre all'Islam, le religioni riconosciute includono il Buddismo, l'Induismo, il Cattolicesimo, il Protestantesimo e il Confucianesimo.
Secondo il Setara Institute, nel 2023 sono state registrate complessivamente 217 violazioni della libertà di religione e di credo, con un aumento rispetto ai 175 casi dell'anno precedente. Particolarmente colpiti sono i circa otto milioni di cattolici, che rappresentano meno del tre per cento della popolazione.
FOCUS EUROPA
Ucraina, la telefonata di Zelensky a Bartolomeo
Non solo la telefonata con il Cardinale Parolin, tra l’altro confermata con un comunicato della Santa Sede solo tre giorni dopo che questa aveva avuto luogo. Il presidente ucraino Zelensky ha chiamato lo scorso 14 marzo anche il Patriarca Ecumenico Bartolomeo, ringraziandolo per le preghiere per l’Ucraina, il suo popolo e il suo futuro, soprattutto in questi giorni e in queste settimane.
L’informazione della telefonata è stata riportata dal sito ufficiale del Presidente dell'Ucraina.
Secondo il comunicato della presidenza, Zelensky ha informato il Patriarca dei risultati dei negoziati di Gedda, tra Ucraina e Stati Uniti e del sostegno ucraino alla proposta USA di un regime di silenzio incondizionato di trenta giorni nei cieli, in mare e sulla terraferma.
Il presidente Ucraino ha anche affermato che tra i primi passi verso una pace giusta e duratura dovrebbero esserci anche il rilascio dei prigionieri di guerra, dei civili e il ritorno dei bambini ucraini deportati.
La presidenza riporta che Zelensky avrebbe affermato che “l’Ucraina desidera la pace e sta facendo tutto il possibile per raggiungerla”, ma “la Russia non è pronta a porre fine alla guerra e cerca le condizioni per la sua continuazione”.
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede agli incontri della Dimensione Umana
Lo scorso 18 marzo, la Santa Sede è intervenuta al primo incontro supplementare della Dimensione Umana, sul tema “Il ruolo dei media nei conflitti e nelle crisi umanitarie, riflettendo sul Diritto Umanitario Internazionale e la Legge Internazionale dei Diritti Umani”.
Nel suo intervento, la Santa Sede “sostiene fermamente il principio che i media e i giornalisti debbano servire il bene comune fornendo informazione accurata, obiettiva e bilanciata”, perché “quando i media rispettano la loro responsabilità, il loro lavoro diventa uno strumento indispensabile che permette ai legislatori e alla comunità internazionale di prendere decisioni informate, responsabili e giudiziose”.
Secondo la Santa Sede, l’impegno al giornalismo responsabile “non serve solo allo scopo della verità, ma anche la promozione e protezione della dignità umana”. La Santa Sede mette in luce il coraggio del giornalismo di raccontare la realtà, così come “la determinazione di cercare la verità e la prontezza di dare testimonianza di prima mano agli eventi”, sottolineando come il giornalista deve essere caratterizzato da uno “spirito curioso, aperto a nuove idee, e con una passione fera per la verità”.
La Santa Sede sottolinea che “il ruolo vitale dei giornalisti diventa ancora più pronunciato in tempi di conflitti, quando il loro impegno per una informazione accurata e imparziale mette in luce realtà che fonti ufficiali o governative potrebbero non rivelare”, e questo “è particolarmente importante quando si mette in luce la profonda sofferenza umana che la guerra porta inevitabilmente”.
La Santa Sede riconosce anche che fare informazione in zone di guerra non solo richiede “una rigorosa investigazione giornalistica, ma anche un approccio giudizioso e coscienzioso alla presentazione e contestualizzazione degli eventi”, specialmente “in contesti cruciali dove le divisioni linguistiche, culturali, nazionali o religiose alimentano tensione”, e allora serve “una comprensione generale di queste complessità” unita a “un forte impegno per l’integrità professionale”, altrimenti “la copertura mediatica rischia di esacerbare le divisioni piuttosto che facilitare il dialogo costruttivo e promuovere le soluzioni pacifiche”.