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«Ucraina, i cattolici l’hanno risollevata dall’URSS e dalla Guerra»

Il direttore Schwartz parla degli aiuti di Renovabis nell’Europa dell’Est

Don Thomas Schwartz | Don Thomas Schwartz | Credit DP Don Thomas Schwartz | Don Thomas Schwartz | Credit DP

Da tre anni i media parlano dell’Ucraina come terra di conquista, paese aggredito possessore di terre rare, obiettivi strategici di altri paesi a caccia di risorse naturali essenziali allo sviluppo di nuove tecnologie. Ma c’è chi in Ucraina dona invece di depredare, e lo fa da decenni. L’Ucraina è da sempre il paese dove l’organizzazione caritativa cattolica Renovabis aiuta di più. Don Thomas Schwartz, direttore dall’ottobre del 2021, spiega ad Acistampa lo stile di Renovabis nel portare aiuti ai paesi dell’Est europeo. 

Direttore Schwartz, lei è professore di Etica aziendale all’Università di Augusta. La sua formazione, teologica e filosofica, in che modo la aiuta nell’approccio al suo lavoro?

«Ci sono due cose che senz’altro mi aiutano. Prima di cominciare il mio lavoro ho imparato a leggere e capire il bilancio di un’impresa. Questo è un un aiuto grande se si guida una organizzazione con un bilancio di circa 50 milioni di euro all’anno. In secondo luogo, essendo filosofo dell’etica, ho imparato a porre le domande giuste. L’etica non è una scienza che dà risposte, ma aiuta a porre le domande giuste, per esempio su come agire strategicamente e correttamente. Inoltre una parte importante dell’etica aziendale è la compliance che comprende il safeguarding, ossia tutti quei meccanismi di autocontrollo e anticorruzione della Chiesa. Tutti i fondi che noi gestiamo sono fondi che ci sono stati affidati dai cattolici tedeschi e ovviamente vanno gestiti con la massima cautela».

Come descriverebbe il modo di lavorare di Renovabis?

«Renovabis è un’organizzazione cattolica che porta il sottotitolo di “azione di solidarietà dei cattolici tedeschi verso l’Est dell’Europa”. Il nostro approccio è dunque non quello di dire agli altri ciò che è bene per loro, ma chiedere ai nostri partner sul territorio quali sono le loro priorità e i loro bisogni, in un dialogo da pari a pari. Non vogliamo avere un atteggiamento paternalistico verso i nostri partner. Noi diamo loro aiuti per i vari progetti, ma loro ci regalano una prospettiva sulla loro società che è diversa da quella di noi Occidentali. Dobbiamo imparare a respirare con due polmoni se vogliamo un’Europa veramente unita». 

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Chi sono i vostri partner sul territorio? 

«Le diocesi, le congregazioni religiose e le organizzazioni non governative che condividono i valori cristiani. Cerchiamo di sviluppare l’idea di una Chiesa che sia membro attivo della società e non autoreferenziale. La Chiesa deve essere missionaria, ma al contempo curiosa degli eventi e degli sviluppi della società contemporanea. Noi non abbiamo delle sedi nei paesi dove aiutiamo, perché vogliamo evitare costi di amministrazione. Sono dunque i nostri partner in loco che realizzano I progetti. Vogliamo che la maggior parte dei fondi che noi riceviamo dai donatori arrivi direttamente ai nostri partner. Loro sanno meglio di noi come usarli».

Come organizzazione che aiuta soprattutto nell’Est europeo, immagino che l’Ucraina sia uno dei paesi dove avete aiutato di più. In che modo avete affrontato questa crisi e con quali risultati?

«L’Ucraina è stata sempre uno dei paesi focus di Renovabis. In 30 anni abbiamo donato più di 180 milioni di euro in oltre 6.000 progetti. In Ucraina abbiamo aiutato la Chiesa Greco Cattolica a rimettersi in piedi dopo le persecuzioni del Comunismo. Adesso è una comunità vivace con 4.000 sacerdoti e 3.000 parrocchie». 

Cosa è cambiato con l’inizio della guerra, tre anni fa?

«La guerra ha cambiato tutto. Nei 30 anni precedenti all’inizio del conflitto, abbiamo aiutato a costruire. Con la guerra abbiamo dovuto rideclinare il nostro aiuto umanitario. Abbiamo dovuto aiutare i nostri partner della Caritas, delle diocesi, delle parrocchie, degli ordini religiosi a costruire luoghi sicuri per i rifugiati. Non bastava più avere un rifugio, ma serviva avere anche una cucina, elettricità, letti, aprire scuole per i bambini».

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Avevate in Ucraina una solida rete di interlocutori?

«Dopo la fine dell’Unione Sovietica i cattolici hanno portato in Ucraina un’invenzione utilissima, il volontariato. I nostri interlocutori in Ucraina hanno potuto sviluppare quel senso di responsabilità che proviene da una convinzione cristiana, ossia che ognuno è responsabile del fratello e della sorella. Questo ci ha aiutato molto perché le piccole comunità hanno gestito in prima persona gli aiuti che gli abbiamo fornito e di cui avevano bisogno. Questo ha evitato il peggio».

Qual è stato il volume dei vostri aiuti nel 2024 e a quali paesi sono andati? 

«L’anno scorso abbiamo speso oltre 26 milioni di euro in 550 progetti circa, distribuiti in 29 paesi dell’Europa centrale-orientale, cioè dal Baltico fino all’Albania, dalla Slovacchia alla Repubblica Ceca fino al Tagikistan e al Kazakhstan. Aiutiamo anche in Russia, dove i nostri partner cattolici sono in sofferenza perché vengono associati all’Occidente e sono costretti a vivere, di fatto, in una dittatura». 

Dove trovano i suoi collaboratori le motivazioni per lavorare in un mondo dove bisogni e stati di emergenza sembrano aumentare di mese in mese?

«Una volta una segretaria che normalmente non fa viaggi di servizio e non ha contatti con i nostri partner sul territorio mi ha detto: “Padre, quando riceviamo una lettera di ringraziamento con una foto in cui una persona sorride perché noi l’abbiamo aiutata, ecco questo mi dimostra che il mio lavoro non è stato inutile”. É questo che ci motiva tutti, dalla segretaria fino al direttore».