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Covid, sono passati 5 anni dalla chiusura delle chiese. Ricordi, testimonianze. Cosa abbiamo imparato?

"A distanza di cinque anni dalla pandemia, la memoria riporta un’esperienza quasi irreale"

Papa Francesco il 27 marzo 2020 |  | Vatican Media / ACI Group Papa Francesco il 27 marzo 2020 | | Vatican Media / ACI Group

"A distanza di cinque anni dalla pandemia, la memoria riporta un’esperienza quasi irreale. Ricordiamo bene quei giorni di chiusura totale, le città deserte, l’isolamento forzato. All’inizio, la sospensione della routine quotidiana sembrava quasi una pausa inaspettata, un’occasione per rallentare. Ma presto la realtà si è imposta con tutta la sua durezza".

Don Vincenzo Guastella, Direttore del Servizio per la Pastorale dei Giovani della diocesi di Ragusa, condivide questi ricordi conversando con ACI Stampa. Anche noi tutti ricordiamo quei momenti assurdi, dove eravamo impauriti, spaesati e i decreti per fermare i contagi si erano spinti perfino alla decisione delle diocesi di chiudere le chiese e "proibire" ogni tipo di celebrazione, anche quelle per i funerali. Tutto per evitare i contagi, che crescevano a dismisura.

Il decreto dell'8 marzo 2020 firmato Conferenza Episcopale Italiana riportava così: "Il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, entrato in vigore quest’oggi, sospende a livello preventivo, fino a venerdì 3 aprile, sull’intero territorio nazionale “le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri”. L’interpretazione fornita dal Governo include rigorosamente le Sante Messe e le esequie tra le “cerimonie religiose”. Si tratta di un passaggio fortemente restrittivo, la cui accoglienza incontra sofferenze e difficoltà nei Pastori, nei sacerdoti e nei fedeli. L’accoglienza del Decreto è mediata unicamente dalla volontà di fare, anche in questo frangente, la propria parte per contribuire alla tutela della salute pubblica".

La diocesi di Roma è stata la prima a chiudere le Chiese il 12 marzo 2020. "Sino a venerdì 3 aprile 2020 l’accesso alle chiese parrocchiali e non parrocchiali della Diocesi di Roma, aperte al pubblico, e agli edifici di culto di qualunque genere aperti al pubblico, viene interdetto a tutti i fedeli". Così firmava il decreto l'allora cardinale vicario di Roma, il cardinale Angelo De Donatis, considerate "le nuove e ancor più cogenti limitazioni poste all'ordinaria circolazione delle persone del decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri emanato in data 11 marzo 2020" e considerati, i Comunicati dell'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei.

I fedeli, spiegava lo stesso decreto, erano in conseguenza "dispensati dall'obbligo di soddisfare al precetto festivo".

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Per la Chiesa fu veramente un momento di forte disorientamento. Ma i tassi di contagio da Covid19 crescevano e con loro anche le morti. Si doveva pensare di tutto pur di limitare gli assembramenti.

In quel momento però la Chiesa e le associazioni dei fedeli hanno potuto fare altro, dimostrare l'amore per il prossimo in una maniera concreta e diversa. E qui ritornano i ricordi di Don Vincenzo da Ragusa: "I contagi aumentavano, gli ospedali si riempivano, amici e parenti si ammalavano, alcuni purtroppo non ce l’hanno fatta. In quel periodo ero diacono e prestavo il mio servizio nella Parrocchia del Sacro Cuore a Ragusa. Una delle esperienze più significative che porto nel cuore è stata la distribuzione di pacchi alimentari e beni di prima necessità a chi non poteva provvedere da solo. La paura del contagio era concreta, ma non ci siamo fermati. Preparare i pacchi, percorrere strade silenziose e deserte, bussare alle porte e incontrare sguardi pieni di paura e solitudine è stata una lezione di vita. In quei momenti, la vicinanza umana e cristiana assumeva un valore profondo. Le celebrazioni trasmesse online erano importanti, ma ancora più incisiva era la preghiera che si trasformava in gesti concreti".

Anche le monache clarisse eremite di Fara in Sabina durante quei giorni surreali “inventarono” alcune iniziative utili. Parlando con ACI Stampa ricordano: “Insoddisfatti, caotici, arrabbiati con noi stessi, con il mondo, con Dio, ci siamo trovati dinanzi ad una frenesia che è stata interrotta. Non avevamo più scuse, il tempo era nostro alleato! Dunque non dovevamo sprecare la nostra opportunità di mettere a posto l’anima!”. Le suore avevano messo a disposizione uno spazio telefonico dove parlare, dalle 10 alle 18 si poteva telefonare in monastero e chiacchierare, sfogarsi, conversare con una monaca.

Intanto Papa Francesco nelle sue immancabili Messe mattutine a Santa Marta sottolineava però la durezza di quei momenti. "Preghiamo oggi per i defunti che sono morti per la pandemia. Sono morti da soli, sono morti senza la carezza dei loro cari, tanti, neppure con il funerale. Il Signore li accolga nella gloria", diceva nella sua omelia del 5 maggio 2020.

Infine memorabile è stata la preghiera del Papa del 27 marzo 2020. Papa Francesco volle celebrare, solo sul sagrato di piazza San Pietro, una Statio Orbis . “Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti”, così diceva il Pontefice in una piazza San Pietro deserta come mai prima di allora.

“Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita”, questo ricordava a tutti il Pontefice.

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Queste parole indimenticabili resteranno nel cuore di noi tutti. Come quei giorni, surreali e unici, ma dalle quali però speriamo anche di aver imparato qualcosa.