Città del Vaticano , mercoledì, 12. marzo, 2025 10:00 (ACI Stampa).
"A distanza di cinque anni dalla pandemia, la memoria riporta un’esperienza quasi irreale. Ricordiamo bene quei giorni di chiusura totale, le città deserte, l’isolamento forzato. All’inizio, la sospensione della routine quotidiana sembrava quasi una pausa inaspettata, un’occasione per rallentare. Ma presto la realtà si è imposta con tutta la sua durezza".
Don Vincenzo Guastella, Direttore del Servizio per la Pastorale dei Giovani della diocesi di Ragusa, condivide questi ricordi conversando con ACI Stampa. Anche noi tutti ricordiamo quei momenti assurdi, dove eravamo impauriti, spaesati e i decreti per fermare i contagi si erano spinti perfino alla decisione delle diocesi di chiudere le chiese e "proibire" ogni tipo di celebrazione, anche quelle per i funerali. Tutto per evitare i contagi, che crescevano a dismisura.
Il decreto dell'8 marzo 2020 firmato Conferenza Episcopale Italiana riportava così: "Il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, entrato in vigore quest’oggi, sospende a livello preventivo, fino a venerdì 3 aprile, sull’intero territorio nazionale “le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri”. L’interpretazione fornita dal Governo include rigorosamente le Sante Messe e le esequie tra le “cerimonie religiose”. Si tratta di un passaggio fortemente restrittivo, la cui accoglienza incontra sofferenze e difficoltà nei Pastori, nei sacerdoti e nei fedeli. L’accoglienza del Decreto è mediata unicamente dalla volontà di fare, anche in questo frangente, la propria parte per contribuire alla tutela della salute pubblica".
La diocesi di Roma è stata la prima a chiudere le Chiese il 12 marzo 2020. "Sino a venerdì 3 aprile 2020 l’accesso alle chiese parrocchiali e non parrocchiali della Diocesi di Roma, aperte al pubblico, e agli edifici di culto di qualunque genere aperti al pubblico, viene interdetto a tutti i fedeli". Così firmava il decreto l'allora cardinale vicario di Roma, il cardinale Angelo De Donatis, considerate "le nuove e ancor più cogenti limitazioni poste all'ordinaria circolazione delle persone del decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri emanato in data 11 marzo 2020" e considerati, i Comunicati dell'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei.
I fedeli, spiegava lo stesso decreto, erano in conseguenza "dispensati dall'obbligo di soddisfare al precetto festivo".