Il 25 febbraio, il “ministro degli Esteri” vaticano ha preso la parola durante la Discussione di Alto Livello sulla Questione della Pena di Morte, che si tiene ogni due anni e che ha avuto luogo durante la sessione regolare del Consiglio dei Diritti Umani.
Nel suo breve intervento, l’arcivescovo Gallagher ha ricordato che “la Santa Sede ritiene che la pena di morte sia inammissibile perché è un attacco alla inviolabilità e dignità della vita umana”, e che per questo “sostiene l’abolizione universale della pena di morte”.
L’arcivescovo ha anche notato che Papa Francesco ha messo in luce come il Giubileo che sta celebrando la Chiesa oggi è “un tempo favorevole per perdonare i debiti e commutare le sentenze dei prigionieri”, poiché “ogni vita umana ha un valore intrinseco e una dignità inviolabile”.
Infine, Gallagher sottolinea che “la Santa Sede, mentre riconosce il diritto sovrano di tutti gli Stati a definire il loro sistema legale, non vede giustificazione nel ritornare a mezzi che non sono necessari e che impediscono il pieno rispetto della dignità umana”.
Gallagher a Ginevra, l’intervento alla Conferenza sul disarmo
Il 26 febbraio, l’arcivescovo Gallagher è intervenuto al Segmento di Alto Livello della Sessione 2025 per il disarmo.
Il “ministro degli Esteri” vaticano ha sottolineato che oggi “insieme, come famiglia di nazioni, possiamo intraprendere giuste e coraggiose azioni per un disarmo generale, bilanciato e completo sotto un efficace controllo internazionale”. Un passo importante, perché l’alternativa sarebbe – nota Gallagher – “la perpetuazione dei conflitti e della violenza, crescenti ineguaglianze e degrado ambientale, di cui nessuno trae vantaggio se non la lobby delle armi”.
Gallagher denuncia lo stallo in cui si è trovata la Conferenza negli ultimi anni, perché rimasta senza mandato mentre la sua ragione di essere è proprio quella di “negoziare strumenti per il disarmo multilaterale e portare risultati concreti”, e gli Stati hanno “un interesse vitale al successo dei negoziati per il disarmo”, e per questo hanno un dovere di partecipare ai negoziati.
Tre i temi principali per la Santa Sede: le armi nucleari, il tema dell’utilizzo dell’area spaziale, e infine la militarizzazione dell’intelligenza artificiale.
Per quanto riguarda le armi nucleari, Gallagher sottolinea che “la pace e la stabilità internazionale sono incompatibili con i tentativi di costruirle sotto la paura della mutua distruzione o la minaccia di totale annichilimento”, e per questo preoccupa “notare la continua espansione e modernizzazione degli arsenali nucleari”.
Soprattutto, afferma Gallagher, “è urgente che gli Stati in possesso di arsenali nucleari si impegnino in seri negoziati per ridurre ed eventualmente eliminare i loro stoccaggi” secondo gli obblighi presi nel Trattato di non proliferazione nucleare.
Per quanto riguarda lo spazio, è imperativo, per la Santa Sede, che questo “sia usato esclusivamente per scopi pacifici, come un bene comune per promuovere sviluppo integrale, ricerca scientifica ed educazione”.
La Santa Sede mette in luce come, invece, gli sviluppi spaziali sono andati oltre le questioni di governance internazionale e cornici legali, creando “instabilità e imprevedibilità”, e per questo “il negoziato di un impegno verificabile e globale per un bando di tutte le categorie di armi nello spazio, che vada insieme ad un impegno di proibire lo sviluppo di armi anti- satellite – è diventato sempre più urgente per creare confidenza e rafforzare la sicurezza e la responsabilità collettiva”.
Infine, la militarizzazione dell’intelligenza artificiale. La Santa Sede ha da tempo chiesto alle Nazioni Unite di stabilire una autorità con competenze universali sul tema dell’intelligenza artificiale.
Gallagher fa in particolare riferimento ai sistemi di armi automatiche, i Lethal Autonomous Weapon Systems, conosciuti come LAWS, che “sono capaci di identificare e colpire obiettivi senza il diretto intervento umano o controllo”. La Santa Sede incoraggia a vedere gli aspetti positive dell’intelligenza artificiale, e chiede una “immediata moratoria allo sviluppo e l’uso delle LAWS”.
Infine, Gallagher denuncia che “spese militari immense fomentano il circolo vizioso di una corsa alle armi che toglie risorse vitali dallo sradicamento della povertà, dalla giustizia, l’educazione e la salute”, contraddicendo anche la Carta delle Nazioni Unite che chiede agli Stati membri di operare misere efficaci per prevenire e rimuovere le minacce di pace”.
L’arcivescovo Gallagher a Ginevra, il tema della cancellazione del debito estero
In un discorso tenuto lo scorso 25 febbraio, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha affrontato il tema del debito estero e della necessità di una nuova architettura finanziaria globale.
L’evento era stato organizzato dalla Santa Sede insieme all'UNCTAD, la missione ONU per il Commercio, con il supporto delle missioni di Brasile, Ghana, Filippine, Sudafrica e Spagna. Si trattava di evento collaterale di alto livello intitolato A Matter of Justice: Debt Relief in the Context of Jubilee. L'evento ha avuto luogo al Palais des Nations, nella sala conferenze XXII, durante il segmento di alto livello della 58a sessione del Consiglio per i diritti umani.
Nel suo discorso, l’arcivescovo Gallagher ha ricordato che il Giubileo è “una chiamata a superare le rivalità politiche e lavorare insieme per il bene comune”, sottolineando il Papa si è anche appellato per una cancellazione o una sostanziale riduzione del debito durante l’anno giubilare.
Gallagher sottolinea che “il raggiungimento della giustizia nel debito è un imperativo morale e la misura della nostra umanità comune”, considerando che “3,3 miliardi di persone, quasi metà della popolazione mondiale, vive in nazioni che spendono più nel ripagare debiti che in salute o educazione”, e dunque “dare la priorità a quanti combattono sotto il peso delle strutture debitorie ingiuste è necessario per costruire un mondo più giusto e compassionevole”.
Gallagher ha sciorinato cifre. Ha notato che il debito globale pubblico ha raggiunto i 97 trilioni di dollari nel 2023, vale a dire 6 trilioni di dollari in più del 2022, creando un peso “reale e tangibile”, perché “la crisi debitoria globale sta ponendo immensa pressione su molte nazioni che combattono per ripagare i loro debiti”, mentre cambia “il panorama creditizio” e questo “rende difficile alle nazioni ogni investimento sullo sviluppo sostenibile”.
L’arcivescovo Gallagher ha poi ricordato gli effetti della pandemia del COVID 19, che ha impoverito le nazioni al punto che “alcune di queste nazioni combattono per ripagare gli interessi nel loro debito”, e così “il debito pubblico nelle nazioni in via di sviluppo sta crescendo al doppio del tasso delle nazioni sviluppate”.
C’è anche da affrontare il problema “degli interessi che crescono”, perché più della metà della nazioni in via di sviluppo “spendono almeno l’8 per cento dei proventi del governo in pagamenti di interessi, che stanno così sostituendo gli investimenti per la crescita in servizi pubblici vitali come la salute e l’educazione”.
L’arcivescovo fa l’esempio delle nazioni africane, che durante la pandemia hanno speso 39 dollari per persona in salute e l’equivalente di 70 dollari pro capite in pagamenti di interessi per il loro debito interno ed esterno.
Va peggio, nota Gallagher, per le nazioni meno sviluppate, e per le nazioni in via di sviluppo senza sbocco sul mare, nonché i piccoli stati isolani in via di sviluppo che sono anche colpiti dagli effetti del cambiamento climatico, perché “per molte di queste nazioni, è peggiorata la sostenibilità del debito estero, mentre il servizio del debito estero è cresciuto più del 50 per cento nel 2023”.
Ci vuole, insomma, una strategia “mirata” che permetta a queste nazioni in difficoltà di vincere le loro sfide.
Al problema del debito finanziario pubblico, c’è “un’altra, più subdola, e spesso trascurata forma di debito” ed è “il debito ecologico”, che si riferisce alla “disparità tra le nazioni nel contribuire alla crisi ecologica”. Infatti “molte nazioni in via di sviluppo, che ospitano alcune delle più importanti riserva di biosfera, continuano ad alimentare il progresso delle nazioni più ricche a spese del loro stesso presente e futuro”.
L’arcivescovo Gallagher ricorda che “la gravità della nostra attuale situazione chiede una azione immediata”, sostiene la creazione di una “nuova architettura finanziaria internazionale fondata sull’uomo, creativa, e basata su eguaglianza e giustizia e solidarietà”.
Questo, nella consapevolezza che la cancellazione dei deboli è “una soluzione complessa” e ribadendo che il ruolo della Santa Sede “non è quello di affermare soluzioni, ma piuttosto di richiamare Stati, comunità internazionale ed esperti a studiare la questione in modo approfondito e di trovare soluzioni urgenti, efficaci e consensuali”, perché “il profitto non è il solo criterio per misurare l’economia. Quel criterio principale è la dignità della persona umana”.
La Santa Sede a Ginevra, gli altri discorsi all’evento sul debito
Oltre all’arcivescovo Gallagher, ha preso la parola anche Rebeca Grynspan, Segretario generale delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (UNCTAD), la quale ha osservato che i paesi in via di sviluppo affrontano un deficit di finanziamento annuale di 4 trilioni di dollari per gli investimenti SDG, costringendo molti a fare affidamento sui prestiti.
Grynspan ha sollevato preoccupazioni circa i crescenti costi del servizio del debito che stanno prosciugando le risorse necessarie per lo sviluppo e l'azione per il clima. Nel 2023, i paesi in via di sviluppo hanno speso in media il 16% dei guadagni delle esportazioni per il rimborso del debito, superando di gran lunga i parametri di riferimento storici, ha osservato.
Ilze Brands Kehris, assistente del Segretario generale per i diritti umani, Ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), ha sottolineato che le attuali strutture del debito, radicate in disuguaglianze storiche, non riescono a fornire sollievo. Ci sono comunque delle soluzioni, ritenendo che la Quarta conferenza sul finanziamento per lo sviluppo (FfD4) sia un'opportunità critica per riformare l'architettura del debito globale con un approccio basato sui diritti umani, assicurando che il servizio del debito non comprometta lo sviluppo. Un maggiore accesso a sovvenzioni, finanziamenti agevolati e finanziamenti per il clima non basati sul debito sono stati etichettati come essenziali per sostenere lo sviluppo sostenibile.
Robert Powell, rappresentante speciale presso le Nazioni Unite del Fondo monetario internazionale (FMI), ha offerto una breve panoramica dell'ultima valutazione del FMI sul panorama del debito, osservando che gli elevati oneri del servizio del debito pongono sfide finanziarie critiche in mezzo a crescenti esigenze di finanziamento.
Inoltre, ha sottolineato come anche la composizione dei creditori sia cambiata in modo significativo nel corso dei decenni dall'iniziativa dei Paesi poveri fortemente indebitati (HIPC). In questo contesto, ha presentato l'approccio congiunto FMI/Banca Mondiale a tre pilastri che fornisce un solido "percorso" per aiutare quei paesi che non sono ancora in una posizione che richiede una ristrutturazione del debito a ridurre gli oneri del servizio del debito dove necessario e a costruire una capacità più duratura per finanziare la spesa per lo sviluppo.
Manuela Francisco, Direttore globale del Dipartimento globale di politica economica, Banca Mondiale, ha presentato il lavoro della Banca Mondiale, anche in collaborazione con altre istituzioni finanziarie. In particolare, si è concentrata sull'Associazione internazionale per lo sviluppo (IDA), come parte della Banca Mondiale, che aiuta i paesi a basso reddito del mondo. Ha ricordato che le sovvenzioni e i prestiti a basso interesse dell'IDA aiutano i paesi a investire nel loro futuro, migliorare le vite e creare comunità più sicure e prospere in tutto il mondo.
Christine Allen, Direttore esecutivo della Catholic Agency for Overseas Development (CAFOD), ha presentato il lavoro dell'organizzazione con partner in Africa, Asia e America Latina. Ha offerto un resoconto di prima mano di come le crisi del debito devastano le comunità più povere, con famiglie che lottano per permettersi cibo, assistenza sanitaria e istruzione. Più specificamente, ha presentato casi di studio da Sierra Leone, Kenya e Sri Lanka. Inoltre, ha sottolineato che le nazioni vulnerabili al clima, gravate dal debito, non hanno fondi per adattarsi, con un impatto socioeconomico negativo e un costo umano elevato.
Il Ghana, co-sponsor, ha sostenuto la richiesta di cancellazione del debito per le economie in via di sviluppo e meno sviluppate vulnerabili, osservando che gli onerosi impegni di servizio del debito sono dannosi per la fornitura di interventi sociali, economici e climatici. Da parte sua, il Ghana ha cercato di ridurre il debito nell'ambito dell'iniziativa HIPC nel 2002, che ha consentito sforzi vitali per la riduzione della povertà attraverso la strategia di riduzione della povertà del Ghana. Questo intervento tempestivo ha rafforzato l'economia del Ghana, consentendo investimenti governativi strategici in settori critici, migliorando la resilienza e mantenendo livelli di debito sostenibili negli anni successivi.
L’altro co-sponsor dell’evento, il Sudafrica, attualmente presidente di turno del G20, ha detto che durante la sua presidenza del consesso dei grandi cercherà soluzioni sostenibili per affrontare gli elevati deficit strutturali e le sfide di liquidità e per garantire che i rating del credito siano equi e trasparenti.
Il Sudafrica ha anche annunciato che istituirà una Commissione sul costo del capitale per indagare sui problemi che compromettono la capacità dei paesi a basso e medio reddito di accedere a flussi di capitale sufficienti, accessibili e prevedibili. Infine, il Sudafrica collaborerà con l'Unione africana per accelerare la creazione dell'Agenzia africana di rating del credito.
L’arcivescovo Gallagher a Ginevra, il discorso al Consiglio dei Diritti Umani
Il 25 febbraio, si è tenuto a Ginevra il segmento di Alto Livello della 58esima Sessione del Consiglio dei Diritti Umani.
In un denso intervento, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha ricordato prima di tutto il “diritto alla vita”, che è incastonato nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ed è “un prerequisito per il godimento di tutti gli altri diritti umani”.
D’altronde, mette in luce l’arcivescovo Gallagher, “la crisi demografica chiede un rinnovato apprezzamento del dono della vita, della maternità e della famiglia”, e per questo la Santa Sede spera che “il 30esimo anniversario della Conferenza di Pechino sia un’occasione per celebrare i molti doni che le donne posseggono in maniera esclusiva e di riconoscere e supportare la maternità”.
Il rappresentante della Santa Sede ha notato che i diritti umani riguardano tutti e si applicano anche alle “stimate 125 milioni di persone forzatamente sfollate”. Ha quindi messo in luce tutta la preoccupazione della Santa Sede per il fatto che “quasi metà della popolazione vive in nazioni che spendono più in restituzione del debito che in salute o educazione, e ha ribadito la richiesta per una cancellazione o condono parziale del debito. Ha chiesto di riconoscere il “debito ecologico che esiste tra il Nord Globale e il Sud Globale”.
Inoltre, l’arcivescovo Gallagher ha messo in luce come “i tentativi di restringere la libertà religiosa sono un ostacolo alla pace duratura e allo sviluppo integrale”, e che ci sono “circa 380 milio di cristiani nel mondo che continuano a soffrire per alti livelli di persecuzione e discriminazione per la loro fede”. Il Consiglio dei Diritti Umani – ha aggiunto – può “giocare un ruolo cruciale nel combattere la discriminazione contro cristiani, ebrei musulmani e membri di altre religioni, e assicurare la libertà religiosa”.
L’arcivescovo Gallagher ha anche messo in luce le pressioni mondiali che richiedono “un forte multilateralismo che rispetta la eguale sovranità degli Stati”, che usi un linguaggio comune che non cerchi di “manipolare i documenti multilaterali cambiando il significato dei termini e reinterpretando unilateralmente il contenuto dei trattati dei diritti umani per portare avanti ideologie divisive che calpestano i valori e le credenze dei popoli”.
Questa manipolazione è descritta dal rappresentante della Santa Sede come “una forma di colonizzazione ideologica che frattura le relazioni tra gli Stati e compromette l’integrità delle istituzioni multilaterali”.
In conclusione, l’arcivescovo Gallagher ha ripreso l’appello che Papa Francesco ha lanciato nel discorso di inizio anno al Corpo Diplomatico per una “diplomazia della speranza”, che possa “guarire le ferite dell’umanità e dare al multilateralismo la nuova vitalità di cui ha bisogno per affrontare le complessità dei nostri tempi”.
La Santa Sede a Ginevra, il trentesimo anniversario della Dichiarazione di Pechino
Il tema del Trentesimo anniversario della Dichiarazione di Pechino e la sua relativa piattaforma di azione è stato affrontato anche in un discorso dall’arcivescovo Ettore Balestrero, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Organizzazioni Internazionali a Ginevra.
Parlando il 24 febbraio durante la 58esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani, il nunzio ha notato che la Piattaforma di Azione di Pechino stabilisce che “il principio di potere e responsabilità condivisa tra uomo e donna andrebbe stabilito a casa, sul posto di lavoro, e nella più ampia comunità nazionale e internazionale”, ma che “l’organizzazione delle società in tutto il mondo è ancora lontana dal riflettere chiaramente che le donne hanno stessa dignità e identici diritti degli uomini”.
Si tratta – ha aggiunto il nunzio – di “una significativa sconfitta” perché la Dichiarazione di Pechino “già allora creava la cornice” per la promozione della donna, e che anzi tutto ciò si trova nella dichiarazione riguardo a donne e povertà o anche alla violenza contro le donne “avrebbe assicurato una concreta promozione della donna in società”, se solo fossero state implementate.
Nota Balestrero che “dal 1995, le discussioni nei fora internazionali “sono stati minati da questioni divisive che non portano necessariamente beneficio alle donne”, mentre “c’è una tendenza a non considerare la famiglia e a considerare la maternità come un ostacolo alla vita delle donne”.
D’altro canto, “vediamo piuttosto che le donne sono spesso lasciate sole senza alcun supporto nella loro lotta per trovare un equilibrio tra la loro vocazione alla maternità e la vita di famiglia. Vediamo donne senza mezzi economici, che vivono in povere condizioni, che sono esposte a violenze e che, invece di ricevere supporto, si vedono offerto l’aborto, che è visto erroneamente come una soluzione immediata alle loro condizioni di sofferenza”.
Insomma, “si dovrebbe affrontare questa realtà se ci fosse una volontà reale di servire il bene delle donne”.
Al termine del discorso, il nunzio ha ribadito il supporto della Santa Sede alla promozione della donna, che ha “una dignità inerente proveniente da Dio, e uguali diritti con gli uomini”.
La Santa Sede a New York, il terzo anniversario della guerra in Ucraina
Il 24 febbraio, in occasione del terzo anniversario dell’aggressione su larga scala della Russia in Ucraina, si è tenuta un Sessione Speciale di Emergenza alle Nazioni Unite.
L’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha espresso, a nome della Santa Sede, “profonda preoccupazione per la protrazione del conflitto” in Ucraina, che “sta causando una grande perdita di vite e sofferenze per tutta la popolazione ucraina”.
Caccia ha sottolineato che “in questi tre anni, il mondo ha sperimentato le conseguenze a largo raggio di questa guerra, anche oltre i confini dell’Ucraina”, perché il conflitto ha avuto un “profondo impatto sull’economia globale”, e ha “contribuito all’instabilità in aree come la sicurezza alimentare e la sicurezza energetica e nucleare”, esacerbando allo stesso tempo danni ambientali.
A livello umanitario, poi, “l’impatto della guerra è devastante, specialmente per i più vulnerabili”, i quali soffrono “non solo per il danno fisico, ma anche a causa dell’erosione dei loro diritti di base e l’accesso ai servizi essenziali”. Così che gli effetti di questa guerra “si sentono in tutto il mondo, e sottolineano la necessità urgente di una soluzione globale e durevole per restaurare la pace ed evitare ulteriore danno a vite innocenti”.
Al termine del discorso, la Santa Sede ha anche ribadito il suo appello per “una immediata cessazione delle ostilità” in Ucraina, mettendo in luce “l’urgente bisogno di sviluppare la pace senza ulteriore ritardo”.
La Santa Sede a Vienna, l’uso militare responsabile delle nuove tecnologie emergenti
Il 26 febbraio, si è tenuto il 1099esimo forum per la sicurezza e la cooperazione dell’OSCE, sul tema “Uso militare responsabile e nuove tecnologie emergenti”.
Monsignor Richard Gyhra, rappresentante permanente della Santa Sede presso l’OSCE, ha sottolineato che l’intelligenza artificiale “sta profondamente trasformando molti aspetti della nostra società”, e allo stesso tempo “sta rapidamente e sempre più riformando la condotta delle ostilità”.
La Santa Sede, da parte sua, sottolinea che “è essenziale salvaguardare le fondamenta etiche che sostengono il valore intrinseco di ogni persona umana con la sua capacità individuale di discernimento e presa di decisioni”, e per questo “quando parliamo di uso militare responsabile di queste tecnologie”, è “essenziale riconoscere che la responsabilità finale è nella stessa umanità, dato che deriva direttamente dalla responsabilità etica e morale collettiva di agire per il bene comune”.
La Santa Sede mette in luce che da una parte l’Intelligenza Artificiale può essere un aiuto per le nazioni a cercare la pace ed assicurare sicurezza, ma dall’altra l’uso dell’Intelligenza Artificiale come arma “può essere molto problematico e porre rischi esistenziali”.
Da sempre, la Santa Sede osserva che “la capacità di condurre operazioni militari attraverso sistemi di controllo remoto porta ad una percezione diminuita della devastazione causata da questi sistemi di armi e il peso della responsabilità per il loro uso”.
Senza contare che l’affidarsi sempre più alle tecnologie cosiddette autonome attraverso algoritmi complessi lasciando “decisioni militari critiche” al di fuori della responsabilità e controllo umano “creano opacità legale e sollevano seri dubbi etici”.
E questo perché “il rispetto, l’implementazione e l’interpretazione di regole chiave e principi della Legge Umanitaria Internazionale richiedono un giudizio prudenziale, buona fede e interpretazione in tempo utile di contesti specifici e situazioni che non si possono includere in regole formali universali, per quanto articolate, e che non possono essere determinate a priori in algoritmi”,
Gyhra fa riferimento in particolare ai Lethal Authomous Weapon Systems (LAWS), i sistemi automatici di armi, “capaci di identificare e colpire obiettivi senza intervento umano diretto e controllo”, cosa che pone seri dubbi anche a livello etico perché “nessuna macchina dovrebbe mai poter decidere se prendere la vita di un essere umano”.
Sono preoccupazioni il cui scopo è quello di “incoraggiare la promozione di una ricerca etica e legittima” sullo sviluppo e l’applicazione delle nuove tecnologie emergenti, da applicare in una cornice “più ampia e significativa”, che assicuri che queste tecnologie siano sviluppate e usate al solo scopo di promuovere lo sviluppo umano integrale e il bene comune.
FOCUS AMERICA LATINA
Messico, i vescovi contro la depenalizzazione dell’aborto
Lo scorso 25 febbraio, a seguito della depenalizzazione dell’aborto fino a 12 settimane di gravidanza nello Stato Messicano di Campeche, il vescovo José Francisco Gonzalez ha messo in guardia coloro che promuovono e facilitano la pratica – incluse donne, dottori e legislatori – che saranno scomunicati dalla Chiesa cattolica.
La depenalizzazione dell’aborto è stata promossa dalla Commissione per i Diritti Umani di Campeche, ed è stata approvata lo scorso 24 febbraio in una sessione chiusa del Congresso dello Stato.
Non si può sapere, così, chi abbia votato per la modifica degli articoli 155,157, 158 e 159 del Codice Penale dello Stato, che permettono così la cosiddetta “interruzione di gravidanza” nelle prime 12 settimane, e stabilisce pene più severe per quelli che forzano una donna ad abortire.
Campeche è il 21esimo Stato messicano a depenalizzare l’aborto. Da quando Claudia Sheinbaum è diventata presidente del Messico l’1 ottobre 2024, e il Parlamento era controllato dal partito della prsidente MORENA, ben otto legislature statali hanno depenalizzato l’aborto: Jalisco, Michoacán, San Luis Potosí, Zacatecas, Mexico, Chiapas, Nayarit, and Chihuahua.
In pratica, due terzi degli Stati messicani hanno depenalizzato l’aborto, che significa che le leggi contro l’aborto restano in vigore, ma non possono essere punite nel periodo specificato.
Il vescovo di Campeche Gonzalez ha definito la decisione del suo Stato “incomprensibile” in una conferenza stampa che ha tenuto lo scorso 26 febbraio, mettendo anche in luce i limiti legali di un voto fatto a porte chiuse.
Gonzalez ha poi ricordato che il Codice di diritto Canonico stabilisce la scomunica per quanti supportano l’aborto, e ha messo in guardia quanti si dicono cattolici e sostengono la legislazione dal non partecipare ai sacramenti, invitandoli a “riscoprire la loro fede cattolica”.
Il vescovo Gonzalez ha sottolineato che “tra tutti i crimini che l’uomo può commettere contro la vita, l’aborto procurato ha le caratteristiche che lo rendono particolarmente serio e vergognoso”, e ha chiesto la formazione di un fronte pro life, perché “la vita non deve essere protetta solo dalla madre che porta il bambino nel grembo, o dal padre che ha contribuito a procrearlo, ma datutta la società”.
Se poi l’aborto è giustificato dal fatto che il bambino non nato non è voluto, ha detto il vescovo, “prima o poi, e non siamo lontani, sarà proposto di fare qualcosa di simile anche con bambini già nati che non si comportano bene”.
Il vescovo si è poi chiesto se “ci sono concrete azioni o politiche per supportare le donne incinte che vogliono diventare madri? C’è un sostegno per le donne anziane che soffrono di solitudine e malattia? C’è supporto per le madri che soffrono degli effetti dell’alcolismo dei loro figli o mariti? Che aiuto hanno le donne con il cancro e la dialisi? C’è aiuto per formarle a trovare la loro strada in situazioni difficili della v ita moderna?”
FOCUS LIBANO
Ungheria, un summit per il supporto dei cristiani in Libano
Il 28 febbraio, si è tenuto a Budapest un Summit per il Supporto dei Cristiani Libanesi. Organizzato dal Dipartimento di Stato per i Cristiani perseguitati, l’incontro ha visto la presenza del ministro degli Esteri di Ungheria Péter Szijjártó e del Segretario di Stato per l’Aiuto dei Cristiani Perseguitati Tristan Azbej. Il Cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca dei Maroniti, ha inviato un intervento all’incontro, cui non ha potuto partecipare per ragioni di salute.
Nel suo intervento, il Cardinale Rai ha notato che il Libano sta “reclamando la sua anima” dopo che questa si era deteriorata negli ultimi anni, e ha notato che “sin dai primi giorni del Libano, la sua comunità cristiana ha giocato un ruolo vitale nel definire l’identità della nazione, e ha contribuito significativamente al tessuto sociale, intellettuale e culturale del Paese.
È stata questa influenza cristiana, ha detto il Cardinale, che ha portato alla separazione tra Religione e Stato, creando la distinzione “tra la cittadinanza libanese e l’affiliazione religiosa”, con una totale eguaglianza tra Cristiani e musulmani vissuta come “una conditio sine qua non per la legittimazione del potere politico”.
Dal punto di vista delle relazioni esterne, il Libano ha invece scelto “una neutralità positiva”, e per questo è stata una nazione prospera, definita un tempo “la Svizzera di Oriente”, e anche “università del mondo arabo”.
Il patriarca maronita sottolinea anche che il Libano “non adotta alcuna religione di Stato”, e questo è stabilito dalla Costituzione del Paese dei Cedri. Tuttavia, le istituzioni cristiane – scuole, università, ospedali – “sono state centrali per lo sviluppo del Libano”, e “hanno consentito al Libano di mantenere il suo status come centro di uno scambio culturale e intellettuale nel Medio Oriente”.
Per questo non si può “sottostimare l’importanza della presenza cristiana in Libano”, e per questo “mentre il Libano va avanti, è importante assicurare che la comunità cristiana resti una forza attiva per lo sviluppo della nazione, e preservi la sua ricca eredità culturale”.
Il Cardinale Rai nota che il Libano si è stabilito come uno Stato moderno nel 1943, con il suo Patto Nazionale, un qualcosa di unico che “riconosceva una rappresentanza politica bilanciata per cristiani e musulmani che ha ulteriormente enfatizzato l’importanza della diversità religiosa”, tanto che c’è il concetto di “Libano condiviso”, dove la presidenza è di un maronita, il presidente del Parlamento di un musulmano sciita, l’ufficio del Primo Ministro va a un musulmano sunnita.
Le comunità cristiane, in una società sfaccettata come il Libano, “hanno sempre supportato un Libano dove tutti i gruppi religiosi possano vivere in armonia e libertà totale”.
I maroniti hanno un ruolo chiave del Paese. Al crollo dell’Impero Ottomano, nota il cardinale Rai, il Patriarca Elias Howayk, su mandato di cristiani e musulmani, guidò una delegazione alla Conferenza della Pace di Parigi del 1919, che portò alla creazione dello Stato del Libano. Questo fa dei maroniti i difensori della preservazione dell’identità del Libano.
Il patriarca maronita si sofferma poi sulle sfide affrontate negli ultimi anni, e in particolare i conflitti in corso nelle vicine Siria, Iraq e Israele, che hanno posto pressione sul Paese dei Cedri e fatto crescere le migrazioni.
Un trend, sottolinea il Patriarca, che può essere cambiato proprio grazie all’iniziativa del Segretariato per i Cristiani perseguitati, considerando anche che “una forte comunità cristiana in Libano darà anche forza ai musulmani moderati nella regione, e aiuterà a isolare l’estremismo islamico e le attività terroristiche che non conoscono confini”.
Insomma “aiutando le nostre comunità cristiane a sopravvivere e fiorire, sarete ripagati di molto”.